Amplificatori valvolari saturati fino ai limiti delle loro possibilità espressive. Les Paul ribassate a sputar fuori un tripudio riff-o-rama dai toni apocalittici. Doppio, pachidermico, assalto di batteria. Sporco. Sangue. Sudore. IMelvins, live. Realtà fra le più prolifiche dell’underground statunitense, i beniamini di casa Ipecac licenziano il loro dodicesimo (!) album dal vivo, registrato nel corso del tour 2008 ed incentrato quasi totalmente sui brani di (A) Senile Animal e Nude With Boots. L’opera fornisce a chi scrive un’ottima occasione per rinsaldare i rapporti con Buzz Osborne e compagni, persi di vista al termine del loro periodo major e ora ritrovati con gioia. La coerenza stilistica della band lascia esterrefatti e dimostra come non sempre evoluzione sia sinonimo di cambiamento. Iniziati ai misteri della lentezza grazie a My War e ai Flipper, i nostri perfezionano da quasi trent’anni la medesima formula sludge metal, occasionalmente corretta da sfuriate thrash memori dei loro trascorsi hardcore-punk. Se le coordinate di massima sono rimaste sostanzialmente le stesse fino ad oggi, ciò che nel corso del tempo ha fatto la differenza sono soprattutto i dettagli. Attorno al nucleo originario composto da Osborne e dal batterista Dale Crover hanno ruotato innumerevoli comprimari, di volta in volta capaci di apportare stimoli personali alla granitica musica del duo. Sugar Daddy Live fornisce una testimonianza dal vivo della più recente formazione Melvins, arricchita dalla presenza in organico di Jared Warren (basso, voce) e Coady Willis (batteria, voce), entrambi componenti dei Big Business. In questa sede si fanno apprezzare particolarmente le sfuriate percussive della coppia Crover/Willis, di norma impegnata a muoversi in sincrono per generare un’impenetrabile muraglia di suono, ma propensa anche ad esibirsi in gustosi incastri ritmici (indicative da questo punto di vista le introduzioni di The Kicking Machine e A History of Bad Men). Effetti inconsueti sortisce anche il canto all’unisono di Osborne e Warren, capace di conferire alle composizioni più ariose (Nude With Boots, Civilized Worm, la stessa The Kicking Machine) atmosfere quasi celestiali. La scaletta si gioca sull’alternanza fra brani dall’incedere ossianico (Dog Island, Dies Irae) e schegge Motörhead impazzite (Rat Faced Granny, The Hawk, You’ve Never Been Right), snobbando quasi totalmente il periodo Atlantic (presente solo Tipping the Lion, da Stag) e dando piuttosto spazio a due episodi tratti dal passato remoto della band (Eye Flys, Boris), dilatati fino all’inverosimile e affogati in un’orgia selvaggia di feedback e distorsioni. A mio modesto parere, chiedere di più risulterebbe quantomeno scortese.