“Of our delirious former loving hours” è figlio dell’epopea punk allo stesso modo in cui un’intera automobile possa esserlo di viti e bulloni. Aldilà, infatti, delle sedimentazioni culturali e soprattutto di quelle musicali, gli inglesi Minnaars debuttano sotto l’egida protettrice di Tom Woodhead, talentuoso singer dei ¡Forward, Russia! e qui industrioso mestierante capace di materializzare dietro al mixer un sound robusto, urticante e maledettamente isterico sugli spasmi chitarristici di Humphrey e Thorpe.
La giovane band di Leicester si affida così alle destrutturazioni ritmiche di un discreto rock matematico foraggiato da un’attitudine wave, una moderna e tangibile scorta di campionamenti, una buona dose di schitarrate emo e tanta energia da illuminare l’Alabama, per esistere in quella calca della weird galassia a metà tra indie e punk.
E se all’alba è lo stesso sole dei Foals e These New Puritans (your heart my embassy) che si intravede dalle loro finestre, al crepuscolo ci si sente stranamente comodi in quel comfort con gli stessi depistaggi dance dei Franz Ferdinand (spelt with a K not a C) e gli ambienti darkwave tipici di Editors et similia (to Jackals ed Essay, Essay, Essay) ma meno artefatti da un’autoreferenzialità più ovattata. A tratti nella voce si può scorgere anche il Rotten dei Public Image Limited, ma è solo un indizio. Le sette tracce comunque non esasperano e riescono a mantenere viva l’attenzione. Probabilmente qualche digressione in più sarebbe stata ben accetta ma è un onesto debutto comunque. Nessuno griderà dunque “eureka” all’ascolto di questo disco ma sono certo che come efficace solfato ferroso che mantiene in vita certe velleità iconoclaste possa funzionare mentre uccide il muschio ingiallente dei troppi cloni viventi a quelle latitudini.