Qualche mese fa ho avuto l’onore di scrivere dei Movie Star Junkies in occasione della loro uscita su Voodoo Rhythm. Oggi mi trovo a parlare di un altro grande evento per una band italiana, anche se su coordinate musicali assai lontane da quelle dei cuneesi appena citati. Il nuovo disco dei The Secret, da Trieste, esce infatti per la Southern Lord, mitica etichetta metal, la casa di Boris, Sunn O))), Twilight (nulla a che vedere col film, naturalmente) ed Eagle Twin, in pratica di alcuni tra i gruppi più importanti ed innovativi nell’ambito della musica estrema. Cosa ci fa un gruppo italiano su quella label? Ci fa una gran bella figura, tenendo alto il vessillo di una scena trasversale che nella nostra nazione è più che mai viva, a partire dagli Zu per arrivare a Ufomammut e Morkobot, per citare tre nomi dai suoni diversi ma contraddistinti dalla medesima attitudine e, soprattutto, da capacità che li pongono alla pari con le proposte provenienti dal resto del pianeta.
Nel caso in questione ci troviamo davanti alle evoluzioni più violente del suono post-hardcore, quelle seguite alle rivoluzioni attuate dai Converge (non a caso a registrare il disco è stato Kurt Ballou), portate a conseguenze ancor più estreme, in uno scontro con il black metal che non può che causare una deflagrazione violentissima. Il primo brano, Cross Builder, con le sue ritmiche dilatate e i suoi suoni taglienti e inquietanti, è la preparazione a ciò che avverrà dopo, un lento e ferale crescendo che crea la giusta suspence in attesa dell’assalto sonoro. Che quando arriva è devastante e senza pietà: Death Alive fa infatti esplodere la sua rabbia atavica mescolando un growl incazzatissimo a ritmi che non lasciano prigionieri. Si continua poi senza possibilità di respirare con Double Slaughter, con i cinquanta secondi ultra-compressi e praticamente grind-core di Where It Ends (uno scontro tra i Cripple Bastards e Burzum?) e con Antitalian, col suo riff che subito viene inghiottito da un turbine di violenza. E ancora con Weatherman, il brano con la struttura più elaborata, con qualche momento in cui l’oscurità diminuisce, anche se la luce è ancora ben lontana, Pleasure In Self Destruction, Eve Of The Last Day (con un riff che sembra dei Motorhead nel giorno del giudizio) e Pursuit Of Discomfort, i cui titoli dicono già tutto. Verso il finale i minutaggi aumentano, la velocità cala, ma non la rabbia e la riuscita dei brani: Bell Urgency inquieta tra schegge di chitarre e ritmi marziali, diventando una marcia guerriera che non può che sfociare in War Desire e nella sua cavalcata inarrestabile, prima della chiusura con 1968, sei minuti di cattiveria spinta all’estremo, dove l’animo black emerge pienamente prima di una coda che si dirada verso il silenzio, lasciando spazio a un predicatore o a qualcosa del genere.
Un disco non per tutti questo Solve Et Coagula, e non può essere altrimenti. Ciononostante un disco importante, un segno di vitalità e un urlo di rabbia da una scena sommersa ma ottima come quella estrema italiana, figlia di quell’hardcore che negli anni ’80 aveva portabandiera veramente enormi come Negazione e Raw Power.