Esce per la nuova etichetta discografica “Garrincha Dischi” il nuovo lavoro dei “4 Fiori Per Zoe”, gruppo emiliano che si ripresenta sulla scena italiana dopo ben 5 anni di silenzio intercorsi dall’uscita del loro primo lavoro datato 2003.
Con “13 cose che dovrei dirti”, che appare come una sorta di conversazione-riflessione sull’amore, ci si distacca molto dalle sonorità proposte precedentemente e ci si ritrova di fronte ad un’opera decisamente più matura e caratterizzata da una forte sperimentazione sonora.
L’impostazione del disco potrebbe essere paragonata a quella di una sceneggiatura teatrale con tanto di sipario tra primo e secondo atto; lecitamente l’album potrebbe essere usato, nella sua interezza, per la colonna sonora di una struggente pellicola cinematografica.
Il primo brano “Attendere, riuscire, averti” ci introduce, quali spettatori-ascoltatori, all’argomento dello “spettacolo”; “…attendere non vuol dir riuscire, attendere non vuol dire averti…” una morale semplice ma al contempo vera da tener presente fin dall’inizio di questa storia.
Ascoltando l’album, viene facile immedesimarsi istantaneamente con l’intera storia che altro non è che il racconto del classico meccanismo di costruzione e conseguente distruzione di coppia che, prima o poi, tutti ci troviamo ad affrontare.
Ogni canzone è un frammento di una lunga conversazione immaginaria a due che assume di volta in volta connotazioni differenti; si passa infatti da brani come “Ho parlato di te”, struggente ed intensa, a “Dieci volte no”, tendenzialmente più cinica ma carica di maggior corposità grazie anche alla presenza della voce di Barbara Cavaleri che, non in maniera marginale, arricchisce e scalda il brano; all’interno dell’album non mancano, comunque, momenti di forte autoanalisi o analisi del legame stesso e dell’altro, a dispetto dell’apparente immediatezza che emerge superficialmente.
I veri capisaldi del disco, però, possono essere rintracciati altrove: primo su tutti “I nostri santi sentimenti” dove spicca, più che in ogni altro momento, l’anima truce e scura del gruppo rappresentata da Nicola Manzan che ancora una volta, attingendo a personali influenze e ricerche intraprese con il progetto solista “Bologna Violenta”, dà vita ad un piccolo gioiello strumentale con sonorità cupe e “poliziesche”, coronato dall’interpretazione vocale di Emidio Clementi (Massimo Volume) che non poteva essere più appropriata e dai fiati di Enrico Gabrielli (Afterhours) che compaiono anche in altri due brani.
Non si può non citare, infine, la partecipazione di Terje Nordgarden che canta, in un italiano quasi perfetto, “Senza mai ricordare”, dolce ballata che difficilmente ci trattiene dal canticchiare.
Visto l’inizio, l’album non poteva che concludersi con “Commiato”, degna colonna sonora di un qualsivoglia film muto, che rappresenta decisamente un bel finale.
In conclusione, il risultato ottenuto è positivo anche se permane la forte sensazione che, dal punto di vista cantautorale, ci sia da fare ancora un bel po’ di strada per raggiungere l’altissimo livello ottenuto dal sostrato puramente strumentale dell’opera.