Il laughing gnome che si fa beffe dell’ascoltatore beneducato in Feeling Alive, traccia d’apertura del Recente Best of firmato Gomo è la frizione di un europop che non prende troppo sul serio il talismano indie del buon gusto; un buon grimaldello contro la lobby consociativa dei giornalisti musicali. Paulo Gouveia, also known as Gomo è un popster Portoghese di cui si sta parlando molto con gioia pre-primaverile attraverso i media preposti; occasione offerta dalla recente pubblicazione del suo primo cd di lunga durata per la Bolognese Homesleep, che oltre a 9 tracce inedite compatta i tre singoli pubblicati in Portogallo sotto l’ala produttiva di Màrio Barreiros, figura chiave del Jazz Lusofono, grande batterista e fine produttore; tanto per estrarre la solita carta dal cappello delle meraviglie, sua la produzione dello splendido O irmão do meio, ovvero la poppizzazione del monumento nazionale Sergio Godinho. In questo senso Best Of non segue troppo da vicino la tradizione del grande songwriting Portoghese, ma si assesta su parametri da pop-charts internazionale con i neuroni che funzionano e un gusto per l’eccesso nella tessitura degli arrangiamenti che ci sembra generosamente made in Portugal. Le alchimie di Beck sono state evocate più volte come referente possibile, ma non credo siano del tutto necessarie e funzionali; piuttosto episodi come November 6th o Can’t Find You si servono del dispositivo wave anni ’80 che ricorda la (s)fiducia nella forma Pop del Julian Cope meno lisergico e più Kitsch; sfido chiunque a re-interpretare quei suoni in termini di pertinenza, buon(?) gusto, equilibrio timbrico; lo slittamento della percezione mina qualsiasi gossip critico. Prendiamo una categorizzazione abusata come “vintage”, al di là dei riferimenti tecnici, il termine è davvero buono per gli Interior Design, ma applicato alle derive della creatività musicale può sortire l’effetto devastante di un arredamento concepito come effetto speciale per un basso profilo di idee. Nel caso di Gomo, Vintage non puzza d’antiquario ne si azzarda in revisioni semantiche della timbrica che forse riescono solo all’Howard Shore di Existenz con i suoi Theremin defunzionalizzati; piuttosto esce dai margini con un tappeto di tastiere invasive che reclamano archi e che allo stesso tempo li rifiutano con quel gusto per il sintetico che piaceva a Marc Almond. Best of è un ottimo corroborante, perchè privarsene?