In principio furono gli Ex-Otago. La loro versione di The Rhythm of the Night ha agito da testa di ponte, dando il via ad un nostalgico saccheggio del repertorio trash anni ’90 e rendendo chiaro – in primis a quanti si avviano ormai verso i trenta – che il decennio in questione non è più esclusivamente parte di un vissuto personale, ma può essere posto in prospettiva tanto quanto il precedente. Invero il successo del brano ha dimostrato la potenza evocativa di un immaginario, che si trova ora a sufficiente distanza temporale da permettere un’analisi critica fino a questo momento impossibile. Oggi l’estetica caratteristica dei ’90 appare evidente a chiunque, persino alla generazione che da tale estetica è stata maggiormente influenzata. Artisti come Corona, gli 883, i Connels, La Bouche, gli Spin Doctors, i Vengaboys – al di là delle ovvie differenze stilistiche – fanno parte di un patrimonio culturale che unisce innegabilmente quanti tra il 1990 e il 2000 barattavano l’innocenza dell’infanzia con le turbe della post-adolescenza. Un patrimonio culturale costruito su tormentoni estivi, successi stagionali e apparizioni al Festivalbar. Un patrimonio culturale che possiede, nonostante tutto, una sua dignità. Devono pensarla così anche i tipi della Garrincha Dischi, dal momento che hanno coinvolto in una grandiosa operazione di recupero denominata Il Cantanovanta 26 esponenti della scena indipendente italiana. Secondo gli standard comuni, un immacolato pedigree indie presupporrebbe ascolti dalla caratura ben più nobile. Inevitabile, dunque, che l’intero progetto riveli intenti squisitamente auto ironici. In più di un’occasione, tuttavia, l’affetto dei musicisti verso brani irrimediabilmente legati a luoghi, situazioni, persone, che sono parte integrante di un background emotivo, emerge in maniera esplicita. Ed è in questi momenti che l’espressione artistica da i suoi migliori frutti. A tratti il feeling malinconico delle composizioni, stemperato dalla produzione dance tanto in voga allora, rivive proprio nelle cover. È il caso di Vamos a Bailar (Paola & Chiara), che grazie ai Camillas e ai Chewingum diventa un esercizio di elettronica riflessiva, o della hit di Gala Freed from Desire, riproposta in versione acustica con tanto di bonghi dagli Ofeliadorme di concerto con i 4 Fiori per Zoe. I Musica per Bambini riservano un trattamento massacrante a Vento d’estate (Fabi/Gazzè), dimostrando un’attitudine iconoclasta e rispettosa al tempo stesso, affine per certi versi alla rilettura Talking Heads – tutta tastierine e melodica – che i Mariposa danno dell’indimenticabile successo Un’estate Italiana (Bennato/Nannini). Marie Antoniette, con la sua Wannabe folk-punk-lo-fi, trasforma il girl-power post-Tatcheriano delle Spice Girls in autocoscienza femminile stile Bikini Kill/Le Tigre, mentre gli Heike has the Giggles rendono credibile una Music (Madonna) che suona come i primi No Doubt. Ad essere sinceri, non tutte le ciambelle escono col proverbiale buco. In alcuni casi la voglia di stravolgimento a tutti i costi partorisce dei meri divertissement, più coinvolgenti per gli autori che per gli ascoltatori. L’approccio cantautoriale che tanto aveva beneficiato Scatman’s World (Scatman John), nella versione di 33 Ore, non si adatta a Rythm is a Dancer: Oratio dimentica che la raison d’être del successo degli Snap risiede in un’anima oscura e misteriosa, caratteristica che si perde del tutto se il fulcro del brano diventa un farfuglio vocale da menestrello d’altri tempi. Allo stesso modo i Jocelyn Pulsar trascinano nel fango Hanno Ucciso l’Uomo Ragno, perdendo di vista l’elemento che maggiormente contraddistingue l’originale: le magniloquenti melodie vocali di Max Pezzali. I Lo Stato Sociale, con la loro Fiki Fiki (Gianni Drudi) rave, costituiscono la sola eccezione alla critica di cui sopra. Sarà che la demenza del testo ben si confà alle dinamiche da dancefloor spiritata, sarà che il trattamento musicale ricorda un po’ la progressive tanto in voga nelle discoteche di Versilia in quegli stessi anni ’90: fatto sta che il risultato è decisamente godibile. In nostalghia we trust.