sabato, Novembre 2, 2024

Affinità/Divergenze fra il compagno Ferretti e noi Del conseguimento della maggiore età – ovvero: uccidi il padre (?)

Tra aprile e maggio 2008 la EMI italiana ha ristampato l'intero catalogo dei CCCP in una serie di edizioni speciali in formato digipack e vinilico, disponibili anche per l'acquisto online, occasione per ripercorrere la storia del gruppo emiliano attraverso la figura di Giovanni Lindo Ferretti, che dei CCCP è stato voce e volto. Uno speciale in 4 parti a cura di Federico Fragasso

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Devo ammetterlo, la tentazione di adottare un titolo come questo in una retrospettiva sui CCCP Fedeli alla Linea era troppo forte per non cedere. Al di là delle questioni affettive però c’è dell’altro. Ripercorrere la storia del gruppo emiliano significa necessariamente analizzare la figura di Giovanni Lindo Ferretti, che dei CCCP è stato voce e volto. Da sempre personaggio scomodo e provocatorio, il nostro si è trovato ultimamente al centro di durissime polemiche. Molti ammiratori del cantante non hanno accettato di buon grado i recenti sviluppi della sua vicenda esistenziale: dal voto “liberatorio” per la coalizione di centro-destra alle lodi per Ratzinger, fino alla lotta antiaborista al fianco di Ferrara. In apparenza l’intera faccenda sembrerebbe rispecchiare uno scialbo clichè, secondo cui quanti siano stati rivoluzionari in gioventù debbano necessariamente diventare reazionari con la maturità. Al quale conseguirebbe che il figlio sia sempre costretto ad uccidere il padre per affermare la propria identità.
Ora, non è detto che “uccidere” Ferretti sia necessariamente un male. I delusi fra voi dovrebbero piuttosto domandarsi perché arrivare a compiere un gesto del genere abbia richiesto tanto tempo. E temo che la risposta finirebbe per sottolineare un’incomprensione di fondo circa quello che i CCCP hanno rappresentato fin dal principio.

[ Foto di Urs “Tingo” Voegeli ]

Individuo dal fascino innegabile, Ferretti ha goduto per anni di reverenza sacrale: è stato rispettato e ammirato quasi acriticamente da schiere di fan, generazioni successive di giovani e meno giovani hanno visto in lui una guida, un simbolo, una sorta di messia. Con tutta probabilità è stato proprio lo straordinario carisma del personaggio a falsare la percezione che il pubblico aveva dell’uomo. Personalmente, non credo che il nostro abbia rinnegato alcunché di recente. Mi pare evidente che l’approccio antimaterialista all’esistenza e l’ indole mistica che lo contraddistinguono oggi siano da sempre tratti caratteristici della sua persona. Così come la fede cattolica, alla quale Ferretti è stato educato fin dalla più tenera età. Non dimentichiamoci che già venti anni fa i CCCP mettevano la Madonna sulla copertina di un loro disco. La professione di fede è assolutamente in linea con quello che il cantante ha sempre sostenuto tramite azioni o proclami. Vale a dire, l’avversione totale per l’ipotesi stessa di un Pensiero Debole. Era semplicemente ovvio: fintanto che il comunismo fosse esistito Ferretti sarebbe stato un ortodosso. Era altrettanto ovvio che, venuta a mancare questa “fede”, egli si sarebbe aggrappato con ogni forza all’unica rimasta. Tutto sommato mi sembra un percorso coerente per qualcuno come lui, alla disperata ricerca di una “linea” in un mondo dove la “linea non c’è”. L’errore è vostro, avete eletto Ferretti a vessillo dei vostri valori quando tutta la sua arte era al contrario l’espressione di un disagio: “vivevamo in un mondo frantumato, senza che vi fosse la possibilità di mantenersi integri: nulla era più integro, né la nostra terra, né l’ideologia. Non eravamo altro che lo specchio di quella frantumazione e non potevamo che essere frantumati a nostra volta. Quello che il nostro pubblico cercava era una dritta per uscire dalla frantumazione, mentre noi non potevamo fare altro che dare maggiore risalto possibile alla frantumazione di cui eravamo parte. E non avevamo niente di più da dire”. Di conseguenza, se avete finito per sentirvi fregati potete incolpare solo voi stessi. Il nostro, dal canto suo, vi aveva messo in guardia con parole molto chiare: “non fare di me un idolo mi brucerò, se divento un megafono m’incepperò, Quando, Dove, Perché, riguarda solo me”.
La Grande Truffa del Rock’n’Roll all’italiana? Forse, inconsapevolmente. Certo è che gli equivoci abbondano nella parabola del gruppo emiliano e probabilmente hanno contribuito ancora più degli aspetti esplicabili alla grandezza della sua storia.

Alla luce di quanto è stato appena detto diventa ancora più complesso comprendere la vera natura di un gruppo come i CCCP. Molto più semplice risulta semmai evidenziare ciò che essi non sono stati. Operazione agevolata in maniera consistente dal volume Fedeli Alla Linea – dai CCCP ai CSI curato da Alberto Campo ed edito da Giunti (da cui peraltro sono tratte tutte le citazioni qui raccolte).
Anzitutto i CCCP Fedeli alla Linea non furono un gruppo di propaganda comunista, a prescindere da quali potessero essere le convinzioni politiche dei singoli membri (“filosovietici, non comunisti: comunista è un vocabolo che non abbiamo usato mai parlando di noi”). La politica filtrava attraverso la loro arte in quanto espressione di un contesto provinciale (la Rossa Emilia) che il gruppo intendeva rappresentare sul palcoscenico (“Ciò che per altri aveva valore in termini politici per noi lo aveva in termini paesaggistici…l’unico slogan politico era il no future del punk, ossia la conclusione che questo stile di vita porta alla morte, non ha futuro”). Di conseguenza bisogna considerare il filosovietismo come una fascinazione estetica, non etica, verso gli equilibri di potenza caratteristici di un particolare momento storico (“L’idea era che il mondo fosse diviso in due: l’Impero del Bene, rappresentato in quegli anni da Reagan, e l’Impero del Male. Noi facevamo parte dell’Impero del Male per un semplice problema di equilibrio e il nostro scopo era fare propaganda a quel pezzo di mondo. Allora la frase chiave era “dalla provincia più filosovietica dell’Impero Americano”…non eravamo filosovietici in assoluto, lo eravamo perché ci trovavamo a Reggio Emilia, determinati e cresciuti in quel luogo”).
Meno che mai i CCCP furono portavoce di istanze anarcoidi, tipiche di situazioni autogestite come i centri sociali. Non a caso il loro primo 45 giri si intitolava Ortodossia ed era un modo per prendere le distanze da tutti gli “alternativi” di questo mondo. Sono noti gli anatemi scagliati all’epoca dal Virus e dal Leoncavallo all’indirizzo della band. Che, dal canto proprio, dichiarava di essersi affidata all’etichetta anarchica Attack Punk esclusivamente per necessità: potendo, avrebbe di gran lunga preferito pubblicare dischi con la COOP. Ciò detto, proviamo a tracciare un quadro dei CCCP Fedeli alla Linea attraverso l’analisi del loro catalogo musicale, ristampato per intero dalla EMI lo scorso Maggio.

Il gruppo si forma a Berlino Ovest, oasi del “mondo libero” nel cuore della Germania Comunista. “L’isola che non esiste più” – come la definirà molti anni dopo Blixa Bargeld degli Einstürzende Neubauten – divenne all’alba degli anni ’80 una mecca per sbandati di ogni genere e nazionalità, attratti dalla sua atmosfera decadente e dal suo clima permissivo. Già teatro della trilogia di Bowie e rifugio di Nick Cave, la città sarà il luogo dove i reggiani Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti si incontreranno per la prima volta nell’estate del 1981. Hanno all’epoca rispettivamente 24 e 28 anni e provengono entrambi dall’esperienza della protesta studentesca. Delusi dagli esiti del movimento, sono in fuga dalla loro esistenza precedente. Ferretti, in particolare, è stato a lungo un militante di Lotta Continua e dopo il suo definitivo distacco dalla politica ha svolto per alcuni anni l’attività di operatore psichiatrico. Entrambe le situazioni, come si vedrà, lo segneranno profondamente e saranno fondamentali nello sviluppo della sua singolare poetica. Cementando un’amicizia destinata a durare a lungo i due si lanciano alla scoperta della città, esplorando con vivo interesse le mille realtà di cui essa si compone. Anzitutto la musica, che in quegli anni rappresenta vistosamente il nuovo: insieme assistono alla rassegna Geniale Dilettanten, venendo a contatto con gruppi come Einstürzende Neubauten e DAF e assorbono gli insegnamenti del punk da una prospettiva prettamente continentale. Poi l’architettura industriale, gli influssi islamici del quartiere turco di Kreutzberg e soprattutto l’iconografia comunista assorbita grazie alle incursioni nel settore est (“quell’attrazione non derivava da una scelta politica, siccome la politica era ormai un capitolo chiuso, ma dal fascino puro e semplice di Berlino Est”).

Di ritorno nelle natia Emilia i due si convincono a mettere in piedi un gruppo praticamente dal nulla. L’esperienza musicale è ancora scarsa ma i presupposti teorici ci sono già tutti. Amalgamando le suggestioni berlinesi con la realtà del proprio contesto provinciale, Zamboni e Ferretti concepiranno un’estetica personalissima, decadente e nostalgica. Da qui la scelta del nome: la sigla dell’Unione Sovietica in caratteri cirillici – CCCP, foneticamente “SSSR” – pronunciata come se a leggerla fosse un militante emiliano; seguita da un inequivocabile Fedeli alla Linea. Da qui anche lo sviluppo di una bislacca iconografia fatta di richiami al teatro futurista, al realismo socialista, al design industriale (il logo del gruppo, ad esempio, ricalcherà la grafica del marchio Fiat). Adottata una primitiva batteria elettronica e reclutato il bassista Umberto Negri i CCCP cominciano a farsi le ossa suonando dal vivo. Nelle corso delle loro peregrinazioni si imbatteranno in Annarella Giudici (benemerita soubrette) e Danilo Fatur (artista del popolo), finendo per coinvolgerli nelle loro storie. L’apporto di questi due folli personaggi alla vicenda dei CCCP contribuirà a rendere ancora più teatrale la “psicoterapia aperta” della band tramite performance assurde e destabilizzanti.
La musica teorizzata da Zamboni, chitarrista dilettante ma estremamente inventivo, è un concentrato di hardcore, post-punk, rumorismo industriale e suggestioni etnico/popolari che comprendono tanto il liscio romagnolo quanto le melodie balcaniche e mediorientali. La poetica di Ferretti è fortemente influenzata dal Battiato anni ’80, riletto secondo un’ottica esasperata e punk: un insieme di slogan, citazioni e riferimenti criptici, talvolta sputati fuori con un tono a metà fra il cantato e il parlato, talaltra recitati con la solennità di una messa. L’arte generata dai due è senza dubbio più estrema di tutto ciò che li ha preceduti e sarà semplicemente ineguagliabile per quanti li seguiranno. (1/4 – Continua…)

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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