Tirato su da Killer Pimp e rivitalizzato da una distribuzione più capillare grazie a Touch And Go, il debutto di questo trio di Atlanta ha tendenzialmente spaccato in due la critica statunitense per motivi tutto sommato convergenti. Questa rocket machine che si apre a sonorità psichiche e visionarie utilizza una lente di osservazione che era già di band attive negli anni ’80; revisione già rivisitata dal muro sonico di Opal, My Bloody Valentine, i dimenticati Felt, i Jesus and Mary Chain di Darklands e gli Easterhouse di Contenders. Da qualsiasi faccia lo si osservi, il cristallo è lo stesso, può quindi piacere o meno ma quello che non si può negare agli All The Saints è una coesione narrativa potentissima e non così consueta; il rischio di affondare nel pantano dentro al quale band come Black Rebel Motorcycle Club nuotano da tempo è evitato da una tensione e da un’inventiva per niente conciliante che attraversa tutti i dieci brani della raccolta, sempre a metà tra una realtà sonora concitata e metallica e un’improvvisa spaccatura che manda in frantumi la propensione monolitica; Farmacia è più o meno il dna strategico dell’intero album; un incidere alla Sonic Youth periodo Daydream Nation sostenuto da un drumming che fa da apripista per l’indurimento metal del suono e un cantato sempre in bilico tra lusinga pop ed emanazioni lisergiche, lascia progressivamente spazio ad atmosfere da incubo e ad un intreccio di drones che disperdono tutta questa architettura in un fade out crepuscolare. L’attacco di Regal Regalia, il crescendo di Hornett, i semplici arabeschi di Paper Fix contaminati da un’onda sonora compatta e tagliente, gli Oasis in acido della title track, la virata gotica di Outs forse una delle tracce più suggestive dell’intero album, fanno di Fire on Corridor X un ottimo esempio di r’n’roll alla deriva.