domenica, Dicembre 22, 2024

Altro, la foto-intervista di indie-eye.it

Gli Altro sono Alessandro Baronciani (anche apprezzato grafico e fumettista), Gianni Pagnini e Matteo Caldari. Sono originari di Pesaro e hanno all’attivo, oltre ad alcuni 45 giri autoprodotti, tre splendidi album: Candore (2001), Prodotto (2004) e Aspetto (2007), recensito anche su IE da questa parte. L’ultima loro fatica in ordine di tempo è l’EP Autunno, pubblicato nel 2009 dalla Holidays Records. Suonano un sorta di sghembo post-punk, passato attraverso la centrifuga dell’hardcore e impreziosito da una delicata sensibilità pop. Scrivono pezzi che raramente superano i due minuti e la loro intera discografia non raggiunge un’ora e mezza di musica. A volte sono concitati come i Minor Threat, altre malinconici come i primi Cure. Cantano in italiano, e i loro testi sono la versione punk degli haiku giapponesi: scene rapide ed intense che sembrano stralci di composizioni mai portate a termine. Gli Altro se ne sono sempre allegramente sbattuti dei tradizionali canali di promozione. Si muovono su un binario parallelo rispetto al mercato discografico attuale. Entrare a far parte della cerchia esclusiva dei loro adepti è un affare che sa di cospirazione. Un loro video è passato persino su MTV, ma lo hanno fatto uscire troppo tardi per pubblicizzare il secondo album, e troppo presto per promuovere il terzo. Così, tanto per vedere se ci riuscivano. Fino all’anno scorso non avevano nemmeno una pagina myspace, che peraltro è stata creata da una fan. In totale controtendenza rispetto ai sistemi di diffusione della musica tipici degli anni ’00, prediligono il vinile e mostrano una maniacale attenzione per il supporto. Le copertine dei loro dischi, realizzate da Baronciani, sono magistrali esempi di arte grafica minimalista che sembrano usciti direttamente dall’archivio della Factory Records.

In occasione della loro recente esibizione presso l’Ex-Fila di Firenze li abbiamo intervistati. Questo ci ha permesso di scoprire tre persone estremamente piacevoli, umili e generose. Altro punto a loro favore, all’interno di un panorama indipendente dove anche il più sfigato strimpellatore di provincia si atteggia a consumata rockstar. I nostri sono personaggi decisamente atipici. Arrivati in città, laddove altri si sarebbero ubriacati al soundcheck, se ne vanno in giro per musei perchè “Gianni voleva vedere il cannocchiale di Galileo”. Il concerto poi è stato semplicemente una meraviglia. Durato sì e no trenta minuti, ma di un’intensità bruciante. Pura energia primigenia. Se mai avessi dimenticato le implicazioni che la parola punk sottintende, Alessandro, Gianni e Matteo hanno certamente contribuito a rinfrescarmi la memoria. I membri degli Altro suonano ancora oggi come se imbracciassero i loro strumenti per la prima volta. A parere del sottoscritto questa è una caratteristica di cui possono andare fieri: li previene dallo scadere in qualunque forma di autocompiacimento e li rende freschi ed entusiasti come se avessero cominciato soltanto ieri la propria attività musicale. Sul palco dell’Ex-Fila ho visto tre persone possedute, che hanno messo in gioco tutte le loro risorse, senza risparmiare un’oncia di energia. Forse avranno perso il tempo in un paio di occasioni e Alessandro, preso com’era a saltare da una parte all’altra, ha cantato la metà dei pezzi fuori dal raggio del microfono. Ma cosa importa? I nostri hanno dato tutto, veramente tutto, anche a scapito della propria incolumità fisica. Una filosofia riassunta perfettamente da Gianni che, sudato fradicio al termine dell’esibizione, mi dice: “se quando hai finito di suonare hai ancora qualcosa da dare significa che è andata male!”. Seminali.

Una cosa che mi ha incuriosito subito di voi è stato il nome. Molto semplice, di uso comune. Eppure con una sua forza particolare, un impatto di natura quasi grafica. Un po’ come Wire

Alessandro: posso dirti che gli Wire, quando sono venuti in concerto a Rimini, sono arrivati in treno. E non si erano portati dietro nemmeno gli amplificatori. Proprio come noi. Molto più vecchi, però.

Non li ho citati a caso. Sia sul piano musicale, sia per la propensione al minimalismo che contraddistingue le vostre copertine, mi ricordate molto gli Wire di Pink Flag o i primissimi Minutemen…

Gianni: degli Wire avevamo sentito parlare molto, e ricordo che mi ha sempre incuriosito la copertina dell’album con la bandiera rosa… onestamente però sono passati anni prima che riuscissimo ad ascoltarli davvero: quando abbiamo scaricato i loro dischi eravamo in attività già da un bel po’… invece conoscevamo le Elastica, che hanno plagiato un pezzo degli Wire… quindi forse esiste un’influenza indiretta!

Alessandro: comunque, per tornare al nome, lo abbiamo coniato in occasione di un concerto al Wellington, un pub di Pesaro… risaltava sul manifesto…

Gianni: c’erano elencati una serie di gruppi, e in fondo Altro… non si capiva se era il nome di una band o un’indicazione generica…

Alessandro: altro aneddoto vuole che un amico di Gianni ci avesse chiesto quale fosse il nostro genere musicale… e noi: “punk”… ma lui non capiva, perché non era molto ferrato in ambito pop… allora gli ho detto: “Hai presente tutta la roba che passa alla radio? Beh, altro…”.

Abbiamo appurato che gli Wire non sono stati un modello… cosa ascoltavate quando avete cominciato a suonare?

Alessandro: mah, ascoltavamo davvero di tutto, purché fosse successivo al ’77…

Gianni: esatto, di tutto tranne Deep Purple, Led Zeppelin, Beatles e Rolling Stones!

Alessandro: Stooges, Suicide…

Gianni: ad Alessandro piacevano i Joy Division, a me gli Husker Dü… ma ascoltavamo anche roba più contemporanea tipo Rage Against the Machine, Quicksand, persino i R.E.M.… non esisteva un’opinione condivisa su quale fosse il nostro disco preferito…

Ero curioso proprio di sapere quale fosse la musica che avete ascoltato tra i 15 e i 20 anni, gli ascolti che in un certo senso vi hanno segnati per tutta la vita.

Gianni: beh, c’è stato il concerto dei Bad Religion… e poi i Down By Law…

Alessandro: abbiamo cominciato ascoltando il punk… a un certo punto sono arrivati i Nirvana, ma questo è stato più tardi… mentre stavamo crescendo andava per la maggiore musica orrenda tipo Guns’n’Roses, Queen, o i Litfiba periodo El Diablo… quindi ci siamo necessariamente rivolti alla musica del passato.

Gianni: però siamo stati fortunati a livello anagrafico… quando è uscito Nevermind lo abbiamo colto subito, perché già da un anno ascoltavamo punk-hardcore…

Alessandro: quando è uscito Nevermind abbiamo tutti pensato: “finalmente qualcosa di contemporaneo che ci piace!”. Questo era prima che i Nirvana diventassero un fenomeno di massa… la prima volta che ho messo la cassetta nell’impianto della corriera per Urbino, dove mi recavo all’epoca per ragioni di studio, i miei compagni me l’hanno lanciata dalla finestra…

Ritenete che esistano delle differenze significative tra il movimento underground attuale e la scena di metà anni ‘90?

Alessandro: quando abbiamo iniziato, se dovevi andare a suonare in qualche altra città, telefonavi a casa del ragazzo che organizzava il concerto… non avevamo il cellulare… ci si scambiavano lettere e si stabilivano contatti…

Gianni: vedi, ci voleva una certa dose di coraggio in più! E finivi per coinvolgere nelle tue attività pure tua madre: all’epoca vivevamo ancora tutti con i nostri genitori.

Alessandro: però si stabilivano rapporti un po’ più solidi… ora tutto si riduce ad una mail, piuttosto impersonale… qualche anno fa, se ti capitava di incontrare in un’altra città un ragazzo che ascoltava i Bad Religion o conosceva i Teen Idles – quando nessuno sapeva chi fossero in tutta Pesaro – finivi a scambiarti le cassette per posta…

Possiamo dire che siete un gruppo di culto, idolatrati dagli “addetti ai lavori” e con una schiera di fan appassionati. Avete mai avvertito la mancanza di un vero e proprio successo di massa?

Alessandro: fino a un po’ di tempo fa tutti quelli che iniziavano a suonare giocavano a fare le rock star… al di la di chi ce l’abbia fatta, credo sia fondamentalmente una questione di percezione… noi siamo solo la punta di un iceberg che nasconde tantissimi gruppi interessanti, magari sconosciuti ai più… che so, un tempo ci sembrava il massimo suonare con i Nuvola Blu o gli Eversor… abbiamo sempre suonato per passione, convinti che in definitiva è il percorso personale di ognuno, più che la notorietà, a fare la differenza… e credo che il tempo ci abbia dato ragione…

Gianni: probabilmente quelli che a 15 anni avevano chitarre da due milioni e speravano di diventare gli U2 adesso suonano le cover il sabato sera…

Alessandro: abbiamo tutti un lavoro e non vogliamo che questa passione diventi un lavoro a sua volta, o dovremmo trovarci un’altra passione… non posso mica cominciare adesso a collezionare i francobolli…

Parlatemi del vostro rapporto con Andrea Pomini e della collaborazione con la Love Boat.

Alessandro: Pomini lo abbiamo conosciuto perché gli abbiamo dato il nostro primo demo per una recensione… all’epoca lui scriveva una fanzine, Abbestia, una tra le più autorevoli a livello italiano…

Questo è un argomento interessante. Oggi chiunque può aprire un blog senza grosso impegno o dispendio di energie. Probabilmente si è persa la percezione della passione che c’era dietro ad operazioni di questo tipo. Come circolavano le fanzine a livello nazionale nell’era pre-internet?

Alessandro: cavallo, piccione viaggiatore… per posta, naturalmente! Voglio dire, le cose funzionavano così a tutti i livelli… se incontravi qualcuno che suonava in un’altra città, finiva che ci si spedivano per posta i rispettivi dischi perché venissero diffusi… nel pacco, oltre alle copie dei tuoi/suoi dischi, c’era moltissimo materiale promozionale riguardante altri gruppi… se qualcosa ti incuriosiva scrivevi ai diretti interessati, e si facevano ulteriori scambi… così si organizzavano anche i concerti… quando suonavi da qualche parte portavi con te i tuoi dischi, ma anche quelli di tutti gli altri… e così via… le recensioni sulle fanzine erano fondamentali per farsi conoscere in giro… nessuno ci aveva mai cagato a Pesaro prima che il nostro demo venisse recensito sul sesto numero di Abbestia… da lì abbiamo suonato all’El Paso a Torino… intendiamoci, all’epoca Pomini era uno sfigato come noi, ma il suo parere aveva una certa rilevanza a livello nazionale… comunque, ad un certo punto ci ha addirittura chiesto di fare un disco intero, e noi non lo abbiamo mica preso sul serio per qualche mese… litigavamo sempre… continuava a dirci che dovevamo comprarci degli strumenti decenti, che dovevamo “chiedere di più ai concerti”, che le nostre canzoni sembravano frammenti di un pezzo cominciato dieci minuti prima, e che sarebbe finito solo dieci minuti dopo…

Mi affascina molto il vostro disinteresse per gli aspetti formali. Spesso e volentieri i musicisti, anche i non professionisti, si rivelano dei maniaci della tecnica: fissati con l’attrezzatura che permette loro di avere un certo tipo di suono e via dicendo…

Gianni: Disinteressati agli aspetti formali noi? Ma cosa dici? Abbiamo persino comprato gli strumenti guardandoci allo specchio per assicurarci che ci stessero bene addosso!

Alessandro: ti dirò la verità, molto semplicemente non ci rendevamo conto dell’esistenza di questo aspetto… io suonavo la chitarra e basta, mi sembrava che la cosa andasse bene così… sarà un anno o due che faccio attenzione ai suoni… per dirti, anni fa un amico di Simone – il nostro primo batterista – aveva comprato un mixer a otto piste. Noi gli abbiamo subito chiesto di registrarci il demo, convinti che bastasse quello… non eravamo consci di quanto la tecnica potesse influire sulla qualità delle registrazioni… infatti tutti i microfoni andarono in picco… il secondo demo lo ha registrato Matteo, ed è venuto meglio… insomma, abbiamo imparato sul campo… ma credo tuttora che il fonico davvero bravo sia quello che riesce ad aggiustare le cose in tempo reale durante il concerto, non quello che fa un sound-check di due ore andando avanti e indietro dal palco…

Sul web, cercando informazioni su di voi, ho trovato il blog di un tale che parlava della scena punk pesarese a metà anni ‘90… voi, gli Eversor, i Pullmanx…

Alessandro: scommetto che era Pelo, il “capo” dei punk di Pesaro… un tipo che organizzava concerti… al concerto dei Bad Religion a Milano, durante il tour di Stranger than Fiction, ci ha presentato i Punkreas quando ancora non erano niente e nessuno…

Gianni: comunque c’era una certa differenza tra noi e gli altri punk di Pesaro… frequentavamo i centri sociali e organizzavamo concerti, ma non eravamo degli anarchici tutti creste, borchie e droghe… punk nella testa, ma molto più puliti a livello di look e anche nello stile di vita…

Alessandro: il fatto è che andava di moda lo Straight Edge… non ci si droga, non si beve, e senza sentimento non si scopa nemmeno!… ci hanno tolto tutto il divertimento!… pensa che quando abbiamo cominciato ad andare in discoteca noi le ragazze avevano ancora il maglione che gli copriva il culo, e i camicioni di flanella fino al ginocchio… erano anni morigerati!
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[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=dqLoH6zPCG4[/youtube]

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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