Michele Baldini supportato dall’occhio fotografico di Elena Venturi, incontra Andrea Chimenti per indie-eye Network prima della sua esibizione sul palco di Italia Wave 2010, alla Fortezza Vecchia di Livorno. Ci parla del suo ultimo disco solista Tempesta di Fiori, che è stato Cd della settimana qui su Indie-eye Network, ma anche dei Moda, degli anni 80 e della scena Italiana contemporanea.
Parlaci del tuo ultimo album, Tempesta di Fiori, uscito il 30 Aprile, come è nato? Quali temi hai cercato di approfondire? Cosa lo separa di più dall’ ultimo tuo album in studio, Vietato Morire, che risale oramai a sei anni fa?
Intanto non sono un artigiano della canzone, nel senso che non riesco a sfornare un disco l’ anno, ma ho bisogno di tempo, per mettere insieme i pezzi che scrivo. Ho bisogno di uno stimolo preciso per scrivere una canzone…
E qual era lo stimolo preciso in questo caso?
Ogni disco ha avuto il suo. Questo riguarda delle vicende di vita personali, che ho avuto e che mi hanno profondamente cambiato. Che mi hanno portato a ribaltare la mia vita. Le canzoni contenute in Tempesta di Fiori vogliono parlare di questo. Se un autore vuole fare il proprio mestiere in modo onesto, credo, deve sempre parlare di sé stesso, sempre con la speranza che qualcun altro possa riconoscersi nelle tue stesse idee.
Lo definiresti comunque un album con un senso positivo…
Assolutamente si, di fatti il titolo, Tempesta di Fiori, rimanda a un contrasto proprio tra il concetto di tempesta e quello di fiore. Tempesta intesa come grande cambiamento interiore, come sempre accade quando qualcosa di brusco ti travolge, destabilizzando una serie di certezze. Di fiori però, perché dopo questa rivoluzione il fiore simboleggia una rinascita, un ritorno a una nuova vita. Quanto tutto ad un certo punto sembra crollare, è spesso in realtà qualcosa che si sta trasformando, ed è proprio quello che ho vissuto. Ho cinquant’ anni, e dopo essere arrivato al classico giro di boa, è questo il modo in cui voglio prendere questa seconda parte di vita.
Come hai coinvolto i musicisti che hanno collaborato con te alla realizzazione dell’ album?
Ho scritto queste canzoni in modo molto solitario, in pochi anni. Ho dovuto poi cercare qualcuno per registrare questo materiale. Massimo Fantoni purtroppo è stato vittima di una brutta vicenda e da due anni ha lasciato la chitarra, tutti speriamo di ritrovarlo presto. Ho incontrato però Stefano Cerisoli, il mio attuale chitarrista con il quale è stato raggiunto un bellissimo feeling. A lui si è aggiunto Guglielmo Ridolfo Gagliano (Amore, Paolo Benvegnù) che già conoscevo e con cui avevo già lavorato ed entrambi sono aretini. Questo è fantastico se si considera che il disco precedente era stato registrato con un gruppo interamente padovano, quindi decisamente più scomodo. Abbiamo scelto, suonato, masticato i pezzi, e dopo un anno di preproduzione inciso l’ album in un teatro a Castiglion Fiorentino.
Troveresti una sorta di leit motiv che percorre tutto Tempesta di Fiori?
La prima canzone del disco inizia con Lei che dice a Lui: “Non ti ho mai amato”, come una frattura, una rottura. Termina invece con il personaggio principale che si costruisce un dirigibile ad eliche e vola verso le Pleiadi, in una sorta di “Yellow Submarine aereo”. C’ è anche un richiamo (voluto) ai Beatles nell’ arrangiamento, simboleggiando una chiusura di un percorso di vita per iniziarne un altro.
Hai attraversato quasi trent’ anni di musica indipendente in Italia. In tutto questo tempo, quali pensi siano state le cose che sono cambiate di più e, se ce ne sono, quelle che più o meno sono rimaste le stesse?
Ho iniziato a fare musica, gli anni 80, in un periodo storico particolarissimo, perché l’ Italia non arrivava “seconda” nei confronti del resto dell’ Europa, abbiamo cavalcato insieme la New Wave dove tutto avveniva contemporaneamente. Oggi questo movimento non c’ è. I gruppi di oggi sono figli di quel periodo, di quello che chiamavamo Nuovo Rock Italiano, però purtroppo tutti sono slegati gli uni gli altri, in un panorama molto più difficile di allora. Non c’ erano le comodità tecnologiche di oggi, ma non sempre questo è un bene, visto che quelli che fanno musica sono molti di più, con molta più concorrenza e una ignoranza dilagante mostruosa. L’ Italia non si accorse di nulla allora e tanto meno lo fa adesso, dove chi governa incoraggia la distruzione della cultura e di quel poco di nuovo che viene fuori dai giovani. Non è facile.
Ti sei fatto un’ idea su come anche un giovane emergente possa orientarsi in questo “caos”?
Spesso ritengo di essere stato fortunato a iniziare a suonare nel periodo in cui ho iniziato. Adesso ho un figlio di 21 anni che sta cercando di fare il mio stesso mestiere. Lo guardo e gli auguro buona fortuna, ma la speranza che ho per lui è che vada prima o poi via dall’ Italia. E’ triste dirlo, non è giusto, ma è anche anche inevitabile. Oltre a questo, ciò che conta di più è riuscire comunque a suonare, soprattutto dal vivo, perché è l’ unica finestra possibile che ti permette di farti in qualche modo notare. Sinceramente occorrerebbe una rivoluzione culturale che purtroppo non sta avvenendo e la televisione è ancora l’ unico mezzo di comunicazione che le persone ritengono “ufficiale”