Sembra incredibile, eppure fino a questo momento nessuno aveva reso i dovuti onori ai Massimo Volume, band che nel corso degli anni ’90 ha tracciato un percorso unico e fondamentale per l’affermazione del rock alternativo in Italia. Giunge opportunamente a colmare un’inspiegabile lacuna letteraria Andrea Pomini, giornalista musicale che in questa sede non ha certo bisogno di presentazioni. La scelta dell’Arcana è quanto mai opportuna: da almeno una quindicina d’anni Pomini promuove la scena dal basso, nell’ambito di un’esperienza multidisciplinare che comprende gli esordi sulla mitica fanzine ‘abbestia, così come l’attività di produttore per la Love Boat (il nome Altro vi suggerisce nulla?). Da curioso esploratore dell’underground Pomini è approdato a pubblicazioni di un certo rilievo, giungendo ad affermarsi come penna rispettata nel circuito della critica rock. Tuttavia non ha mai rinnegato il linguaggio urgente e nervoso che lo accompagna fin dalle prime prove. Presumibilmente, proprio l’affinità con valori che privilegiano l’essenziale lo ha portato a concepire Tutto qui in una forma decisamente atipica. La narrazione si snoda esclusivamente attraverso testimonianze orali, secondo un modello che negli ultimi anni ha visto crescere la sua popolarità oltre oceano (al riguardo, non possiamo esimerci dal citare almeno American Hardcore di Steven Blush e Lexicon Devil di Brendan Mullen). In apparenza, il narratore che scegliesse di seguire una traiettoria di questo tipo rischierebbe di sacrificare la propria personalità, la capacità di scrittura e di sintesi. Eppure, l’ottica fondamentalmente punk di Pomini traspare proprio dalla volontà di affidarsi al dettato orale, di mantenere un’aderenza alla realtà dei fatti – o perlomeno alla versione che ne danno i diretti interessati – senza mediazioni, senza elucubrazioni. È evidente nella scelta di non fornire una verità unica e incontestabile, dando piuttosto spazio alle opinioni e – in più di un’occasione – a interpretazioni apertamente contrastanti dello stesso episodio. Così, dalle parole di Emidio “Mimì” Clementi, di Vittoria Burattini, di Egle Sommacal, e di tutti gli altri personaggi gravitanti intorno al gruppo, gli avvenimenti prendono forma a poco a poco. L’insoddisfazione della provincia come spinta verso il fuori e la Bologna di fine anni ’80 – l’Isola, il Link, le occupazioni di via del Pratello, gli Starfuckers – come catalizzatore di energie creative. La musica, i riferimenti culturali, i rapporti umani. La verità su Leo e Rigoni, i contrasti con Umberto Palazzo, Stanze, la speranza del successo. L’inconcepibile interesse di Ligabue (!) e del mainstream, l’irruzione delle major, Lungo i Bordi, la possibilità concreta del successo. John Cale e Steve Piccolo, Da Qui, il plauso della critica internazionale, il successo che arriva ma non paga le bollette. La parabola discendente, Club Privè, il declino. Rapporti interni esasperati, tensione come misura della quotidianità, volontà di andare avanti nonostante tutto e onestà nel ritirarsi quando la sopportazione giunge al limite. Il vuoto, lo spaesamento, la perdita d’identità, il tentativo di diventare altro. E poi il Traffic, Torino 2008, la rinascita. La narrazione a questo punto si interrompe, ma la storia va avanti e il prossimo capitolo fortunatamente deve ancora essere scritto. Tutto qui. E non è poco.
Andrea Pomini – Tutto Qui, la storia dei Massimo Volume (Arcana Edizioni, 2010)
Andrea Pomini racconta i Massimo Volume attraverso una serie di appassionate testimonianze orali.
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Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco
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