Natasha Khan, la ragazza di Brighton che ha conquistato con il suo talento tutti gli amanti dell’indie; ha composto insieme alla sua band il secondo album. Il titolo Two Suns rammenta energia e non a caso in questo concept si trovano melodie elettriche, ritmiche pop, synth e beat trascinanti e misurati alla perfezione, la melodia ben costruita e l’atmosfera emozionante. Ma non sono solo questo i Bat For Lashes e lo sa bene Tom Yorke che l’ha portata in giro per l’Europa ad aprire i suoi concerti durante In Rainbows.
I Bat for Lashes sono soprattutto ambiente, ecosistema, sito in cui trovare armistizio dalla frenesia irregolare della quotidianità.
Sono due soli e niente ombra. Sono folk, sono suggestioni e spettacoli immaginari, sono intriganti e seducenti.
Non mi piace paragonare gli artisti ma cito in esempio Bjork e Lily Allen; ecco immaginate una fusione prima artistica e poi estetica per poter avvicinarsi a figurare questo capolavoro prima sonoro e poi armonioso.
Aspettatevi atmosfere da favola e preparatevi ad immergervi in un pianeta innocente, dove due soli regnano i cieli, dove i dualismi sono nella natura umana; in quel luogo le dicotomie avvolgono le personalità ma senza conflitto. Non vi è ostilità, vi è una pacifica convivenza, vi è dialogo e comprensione. Vi è tolleranza. Le sfumature e le diversità diventano valore aggiunto e non motivo di scontro.
Il disco si presenta al pubblico con il singolo Daniel che è indubbiamente uno di quei pezzi da mettere a ripetizione, ma è un lavoro da scoprire, da studiare e da concepire.
Il primo brano, dal titolo Glass, ricco di percussioni articolate, agganci dal genere tribal e falsetti che colmano il refrain . Seguito da una scia di percussioni e tocchi ripetuti è Sleep Alone, secondo frammento che da un vento arso e regolare. Al contrario Moon and Moon è un motivo di dolcezza e fragranza, distinto da un pianoforte armonico. Daniel è la traccia seguente e fino a Two Planet l’arte del suono è marcata da una voce acuta, misure normalizzate e cadenze euritmiche che si spezzano appunto con questo brano che sembra stonare ma che per sorte fa da manifesto di equilibrio e ritorno alla realtà in cui si evoca il ritorno alla notte perché senza di essa non esisterebbe il giorno.
Rincorre il decimo brano che è un inno ad inseguire le aspirazioni in una versione marmorea in cui il compromesso delle scelte è un dolore, e seguire le visioni è la chiave di svolta per un esistenza felice; ma sembra una violazione, un vizio di stile che travisa la sostanza dialettica del lavoro anche dal punto di percezione acustica. Infine l’ultimo brano è un arrivederci, un canto di lode e un ritorno ad un riposo. Un rimprovero ma una scelta, un doppio tempo in cui vi è stato un risveglio e un rinnovamento ma è il momento di andare a letto,con una consapevolezza del tutto rigenerata, e il sound è l’espressione più limpida di questo adeguamento.