Norwich è una città dell’Inghilterra orientale, già famosa per essere terra d’origine di artisti quali Beth Orton, i Magoo ed il gruppo sotto esame, i Bearsuit. Attraverso l’etichetta Fortuna Pop!, il quintetto inglese ha confezionato un disco che fa dell’eterogeneità il suo punto di forza. The Phantom Forest è infatti un album ricco di spunti, forse anche troppi, capace per questo di soddisfare il desiderio musicale di più orecchi: il loro carnet di similitudini annovera nomi come Architecture in Helsinki e The Go! Team, per intenderci. Prendete per esempio la traccia di apertura, Princess, You’re A Test, capirete subito che si tratta di un bellissimo ibrido i cui differenti organismi generatori sono il rock anni ’90 ed un certo goût electropop. In questa terza prova su disco dei Bearsuit si fondono una matura credibilità musicale con un’attenzione per suoni più immediati, volutamente puerili nella loro fruizione: Please Don’t Take Me Back, il secondo episodio del disco, scorre senza troppi alti e bassi, facendo venire l’acquolina in bocca all’ascoltatore, con dolci e colorati giochi elettronici. A Train Wreck è una piacevole sorpresa, comincia come un pezzo di Robbie Williams per poi trasformarsi negli Artic Monkeys sotto sedativi. Ecco cosa intendiamo quando parliamo di troppi spunti: si rischia di confondere l’ascoltatore seppur trasmettendo qualcosa che è qualitativamente eccellente. When Will I Be Queen, ripesca dagli anni ’80 come soltanto i Le Tigre sanno fare, costruendo un bel pezzo dance punk, un must per qualsiasi discoteca alternativa. Anche Albino Tiger Rescue Squad riprende alcuni elementi del rock femminile più riottoso, con quei cori da gonnella eversiva che fanno venir voglia di alzarsi in coro contro il sistema. Più si va avanti con l’ascolto del disco, più riaffiorano alla mente i vecchi ricordi delle musicassette di gruppi “riot grrrl”, come Bikini Kill, Sleater-Kinney e i già citati Le Tigre, naturalmente in una versione del tutto personale. In Ghosts Of The Black Hole, ad esempio, si volta nuovamente pagina, rallentando considerevolmente in ritmo ed energia. Tentacles ruba qualche idea alle nuove leve del post-punk revival e sporca il tutto con la tanto amata carrellata di suoni elettronici che, scusate se è poco, riescono a mettere in discussione la definizione del genere stesso in cui poter collocare il gruppo. Il meglio arriva in conclusione: in Kwaa-Kwaa riscopriamo la confusione fanciullesca attraverso i suoni giocattolo ed i giochi vocali ed onomatopeici che rendono questa traccia un riuscito esperimento linguistico. Se queste sono le premesse, arrivate comunque dopo ben due dischi, si potrebbe scommettere in un seguito migliore, perché va bene creare qualcosa che abbia differenti sfaccettature, ma l’effetto marmellata, quando si vuole stupire ad ogni costo, è sempre dietro l’angolo. Per chi non sa ancora cosa vuole dalla vita ma è già sulla buona strada.