Due cuori e un mini-van. Si potrebbe riassumere così la, felice, unione di Chris Senseney and Stefanie Drootin in Senseney. Costei, bassista in The Good Life e turnista per Bright Eyes, She and Him, nel 2010 forma con Chris Senseney Big Harp; ne seguono un album, un matrimonio, un figlio e poi un secondo. Chain Letters è il secondogenito in formato traccia, uscito per la prolifica Saddle Creek.
A frenare gli entusiasmi per Chain Letters, è forse l’ombra di White Hat, disco di debutto uscito solo sei mesi prima lo start up del nuovo lavoro. Un disco decisamente più elettrico e ricco di fuzz che abbandona la linea vergata da White Hat, allontanandosi dai suoni arcadici e quasi pastorali che lo connotavano. Chain Letters prova ad essere una galleria di storie, una mostra di personaggi e di racconti che spaziano dal fiabesco al reale. Accade così che nel disco sfilino vari prototipi di umanità, da quella eroica di You Can’t Save ‘Em All fino a giungere a quella farsesca di Call Out The Cavalry, Strike Up The Band.
Un mix di suoni e di sensazioni che oscillano nell’orbita di un cabaret oscuro e meditabondo, un folk cittadino sufficiente oliato dai fumi di vino, sigarette e whisky. È il caso di Good News o Outside in the Snow dove lo sfrigolio fra blues e rock produce il massimo dei risultati. Nulla da dire, Chain Letters è un buon album, ma non riesce a superare la soglia dell’apprezzamento. Non coinvolge, non ha pezzi trascinanti, nessun gancio che faccia decollare l’album ad un secondo livello. Infine, è decisamente arduo scrollarsi dalla mente un rimando costante ad un altro duo d’oltre oceano, i Black Keys, cui sia la voce di Chris Senseney sia l’impasto rock-blues, richiamano in più occasioni. Big Harp resta una famiglia promettente, da seguire attendendo l’uscita dallo stato di adolescenza.