Il complesso equilibrio della parodia e il gioco dei simulacri allo specchio Bobby Conn li ha imparati da Harry Nilsson, e non è certo un mistero, l’album più riuscito dell’anticristo di Chicago è probabilmente Llovessonngs, l’ep pubblicato nel 1999 e posseduto dallo spirito di Nilsson Schmilsson, doppio crudele ed etilico, cesura violenta nella carriera del songwriter Newyorchese che fino al 1980 inciderà album esposti ai pericoli, sempre fecondi, della mutazione e del disequilbirio; Nillsson o Schmilsson?
Bobby Conn non incarna ne l’uno ne l’altro e si limita a seguire l’ombra di Schmilsson con la consapevolezza politica e la fiducia nelle strategie imposturali degne di un (qualsiasi) crooner. E’ da The Golden Age (2001) che la mistura Blue Oyster Cult, Heart, Larks’ tongues in aspic, glam&glitter, Jazz sperimentale, Flying Luttenbachers e qualsiasi cosa sia ben stipata nei nostri scaffali, si è coagulata in confezione lusso. L’ostentazione de-genere che penetra il sistema nervoso traumatizzato della carcassa Rock corre spesso il rischio di inceppare il frullatore e di restituire una marmellata vintage normativa e innocua come il Rocky Horror. Per la realizzazione di King For a Day Bobby Conn ha impiegato tre anni e ci ha regalato un simulacro di Bobby Conn. Probabile che la raccolta di canzoni che ci presenta sia tra le più ispirate, ma i tempi per amarsi non sono mai sincroni. Distribuisce per l’italia Self.