Costanza Francavilla è musicista cocciuta e autonoma, ed è probabilmente l’autonomia, una delle caratteristiche generalmente guardate con maggior sospetto e invidia, la chiave più importante per entrare in contatto con l’universo sfaccettato di un’artista che non si esaurisce con l’oggetto che abbiamo tra le mani. Sonic Diary è in effetti un lavoro centrifugo e pur conservando una forma concisa e molto potente, eccede i suoi stessi confini alludendo ad un insieme di elementi tra cui quello visivo, il crocevia tra immagine ed elettronica, una visione fortemente politica e una forza intima davvero sorprendente per un album prodotto in Italia ma con cuore e cervello altrove. Sonic Diary è il primo full lenght per l’artista Romana e arriva dopo una lunga gestazione interrotta solamente da un breve EP intitolato ZerOKilled che ne rappresentava un piccolo banco di prova. Quello che colpisce, nel recupero di suoni che in un certo modo hanno rappresentato certamente più stagioni di elettronica popolare, è la capacità di distillarli in un processo assolutamente personale e intimo, un diario appunto, una venatura di inchiostro nero vibrata sul corpo di un genere che sotto la superficie di una raffinata ricerca sonora, mostra una forma calda, oscura e vibrante. Il racconto ha l’incipit di un limine alieno, Just another alien, sguardo diretto altrove, fuori dal proprio paese, delineato con ferocia politica in mezzo ai suoni di un elettronica che oscilla tra l’anima e il recupero di suggestioni analogiche. E’ un approccio visivo al suono che attraversa tutto l’album di Costanza e si riverbera nell’intima semplicità di I’ve been waiting for you, nel folk disfunzionale e decostruito di Babilon Dream, l’unica traccia strumentale di tutto Sonic Diary specchio sonoro per la bellissima cover di God’s gonna cut you down, Johnny Cash rivisitato in forma se possibile, ancora più crepuscolare. 50 Bullets fired in Queens che Costanza ha scritto ispirandosi all’esecuzione di Sean Bell nel 2006 per mano della polizia di Brooklyn fa da specchio a Burqa, due visioni intime e politiche sul sorprendersi disorientati e senza via d’uscita in un paese straniero, risolte nella forma di un viaggio sonoro allusivo, dove liriche e voci si inabissano. E’ davvero una spaccatura di sole in the sun, che rompe l’andamento claustrofobico di Sonic Diary nonostante il testo ancora una volta sanguinante; è un bellissimo duello tra l’ipnosi narcolettica della voce e le forme a spirale di un violino che sorregge tutto l’ordito; il brano è in medias res e in un certo senso distilla il senso di questa raccolta di 15 tracce sempre al limite tra un mondo sonoro oscuro e opprimente e la fuga da un’elettronica di genere con l’introduzione di elementi acustici, forme minimali semplici, riferimenti a due mondi sonori che collidono. Costanza si trova a suo agio in questo processo di mutazione continua, e a conferma di questo, la cover di Promises dei Fugazi è di una bellezza palindroma, la conferma di come si possa affrontare un universo di suoni conosciuti e già ascoltati per raccontarli di nuovo, in un diario intimo.