venerdì, Novembre 8, 2024

DasAuge – You’re dead and it’s all your fault (I Make Records, 2011)

“Un’inarrestabile emorragia sonora”, così si definiscono i DasAuge, band campana che arriva al loro album d’esordio dopo tre demo autoprodotte e oltre dieci anni d’attività. Hanno pubblicato infatti nel 2001 l’ep Hundred lies, nel 2005 Five years apnea e nel 2007 When feathers crash.  Il gruppo è formato Vincenzo Spalice alla voce, Massimo Manzo e Pierluigi Mazzei alle chitarre, Claudio Manzo al basso, Salvatore Paone alla batteria.

Tema centrale di You’re dead and it’s all your fault è la morte e i suoi molteplici aspetti. Loro stessi spiegano così il titolo dell’album: “ Si può morire senza morire, si può morire senza libertà civili, si può morire semplicemente lasciando vivere. A pensare che tutto sia un problema degli altri, che sia colpa degli altri, si finisce solo per fare una cosa. Diventare gli altri. Risvegliamoci..”  Detto ciò, come si evince dal loro booklet che a dispetto dei testi in inglese è pieno di citazioni in italiano, la morte può essere anche rinascita, rivincita e un nuovo inzio.  In Carapace, canzone d’apertura, viene richiamata l’immagine di un occhio (das auge in tedesco) che vede, attraverso le crepe di un vecchio guscio. L’occhio, parafrasando Paul Klee) segue le vie che nell’opera gli sono state disposte, rappresentate in questo caso da genitori che si baciano teneramente sotto un pino (The first time I’m dead), bagliori di ferite aperte per sempre (Hiroshima), gambe che si muovono in una sfrenata danza erotica (Legs), disturbi compulsivi (Obsessive compulsive disorder) amori (The day brea lynn met tory lane) e rinascite (Life on earth is overestimated).

Il suono non è catalogabile in nessuna categoria predefinita. In You’re dead and it’s all your fault troviamo qua e là tracce di hardcore, post rock e prog rock  ma senza che nessuna fra queste prevalga sulle altre. Il dialogo fra le chitarre crea atmosfere inquietanti e cupe che si mescolano a momenti più riflessivi e sereni di forte impatto emozionale. Legs e The day brea lynn met tory sono gioiellini incastonati in un muro di suoni solidi e potenti.  La sezione ritmica non prevarica mai quella melodica, sembra quasi un sottofondo che accompagna l’ascoltatore attraverso i meandri profondi della psiche dei DasAuge. L’ottima traccia iniziale chiarifica le attitudini musicali della band, che per tutto l’album si muove fra “suoni morbidi e potenti, con chitarre ora dilatate e melodiche, ora pesanti e violente, accompagnate da ritmiche fluide e cadenzate”. Una parola va spesa anche per gli arrangiamenti, precisi e curati in maniera scrupolosa. La voce di Spalice è il collante fra testi e suoni: il timbro, pulito e accattivante, riesce ad amalgamare bene le diverse sonorità presenti con le forte componente emotiva che caratterizza il song writing del disco.

You’re dead and it’s all your fault è un lavoro denso, profondo e di qualità. Il rischio poteva essere di risultare confuso, visto il numero di componenti diverse assimilate, ma la tecnica della band, ineccepibile e totalmente devota alla componente emozionale, mette ordine e da un corpo unico alle molteplici verità presenti nel del disco. I DasAuge fanno propria la concezione artistica del pittore Paul Klee (il nome dasAuge è un omaggio all’artista elvetico) cercando attraverso la musica di rappresentare la realtà, ovvero di svelare i meccanismi più profondi e nascosti della natura. Il risultato finale dell’indagine lo dicono loro stessi in Life on earth is overstimated “ Quello che vedo intorno a me mi mette di buon umore/Mi fa pensare al futuro/Il futuro mi fa pensare all’estinzione/ L’estinzione mi fa pensare ad un nuovo inizio/ E gli inizi sono sempre belli”.

DasAuge su My space

Andrea Quadroni
Andrea Quadroni
Andrea Quadroni, 27 anni, millanta origini austriache e un passato da suonatore di basso. Nato a Como, vive in un paesino alla periferia del mondo civile. Al liceo si pettinava con il sapone di Marsiglia, ha studiato tra Milano e Parigi e si è laureato da poco in storia. Scrive di musica, cura scrupolosamente i suoi baffi biondi-rossicci e ama ripetere con orgoglio “I saw Pulp live”.

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