A Dente piacciono i giochi di parole. Dopo Non c’è due senza te, il cantautore emiliano, vincitore con L’amore non è bello del PIMI, come “miglior album indipendente 2009”, torna ad accarezzare impensati bisticci verbali, in merito ai quali il titolo del nuovo disco, Io tra di noi, rivela la sua fisima per le date di uscita, in una trasposizione grafica (II – IO – II) che non solo palesa questo vezzo, ma va ad aggiungere una voce in più alla discografia “in amorem” di Giuseppe Peveri alias Dente. Il disco, tutto, tra ironia ed accurate figure retoriche, racconta infatti un universo incentrato sull’amore, un amore a tratti proustiano, come quello che in “Alla ricerca del tempo perduto”, diventa bramoso degli attimi che non si realizzeranno mai perché “si ama solamente ciò in cui si persegue qualcosa d’inaccessibile, quel che non si possiede”. E infatti, Due volte niente, traccia d’apertura, ponderando una serie di negazioni sulla riga del “quello che non”, fa rivivere il fascino dell’incompiuto su pochi accordi ed un cantato tanto viscerale quanto epidermico nel tono. La classica forma canzone di Dente, però, non deve trarre in inganno nella sua agevolezza: v’è spesso una robusta simmetria nella costruzione sintattica dei versi, quasi a specchio rispetto al refrain, come quella di Piccolo destino ridicolo, dove su un aplomb elettronico, al gioco di negazioni di cui sopra, subentra quel categorico “più che il destino”, vorace di una franchezza quasi insolita nel cantautorato italiano attuale (“più che il destino, è stata l’adsl che mi ha unito”). In realtà, il primo balzo lo abbiamo col terzo episodio, Saldati, vergine nell’elucubrazione ma con un’orchestrazione assoluta: non ci meraviglia che sia stato scelto come primo singolo. Fortunatamente, Dente non riesce a tenere a bada i propri calembour, e alla stregua di un funambolo in evoluzioni pericolose e senza alcuna protezione, riesce sempre ad atterrare incolume. Da Varese a quel paese apre sul ritmo scanzonato della sua chitarra per poi concludersi in un timido assolo di tromba, rivelando un bel ménage à dois che esplode nel desiderio di tattilità della concisa Cuore di pietra e nell’encomio della geografia femminina di Casa Tua. Tra le tante capacità di Dente, c’è anche quella di smontare i luoghi comuni, allestendo un “giudizio universale”, nell’omonima traccia, in cui “il primo amore non si scorda mai, fino a quando non ci pensi più” (con tanto di richiami disco anni ’70 nell’arrangiamento). A proposito della sfera strumentale, non possiamo non sottolineare la presenza – educata ma percepibile – del produttore Tommaso Colliva, già al lavoro con artisti del calibro di Franz Ferdinand, Muse e PFM: in realtà il lavoro col fonico e produttore discografico dal carnet internazionale è arrivato solo in un secondo momento; Dente ha infatti mantenuto il proprio modus operandi lavorando dapprima con la band, per poi concedersi ad un lieve restyling. Tutto ciò passa in secondo piano quando si ascolta Dente e pezzi come La settimana enigmatica (che sembra uscito da un album di Badly Drawn Boy), o la festosa Pensiero associativo, perché rispetto alle sue evoluzioni linguistiche, non ci sono parole ed elogi che tengano.