lunedì, Novembre 25, 2024

Dilatazione – The importance of maracas in the modern age (Acid Cobra, 2010)

Sono passati quattro anni da Too Emotional For Maths, il debutto dei Dilatazione che riscosse consensi trasversali, anche al di fuori dei confini nazionali, col suo post-rock in bilico tra fascinazioni Slint e strutture elaborate dalle parti dei Don Caballero. Ora arriva The Importance Of Maracas In The Modern Age ed è come se nel frattempo ci fosse stato un terremoto in grado di spostare l’asse del mondo musicale della band toscana: le atmosfere sognanti ed oniriche del primo album sono infatti sparite quasi del tutto, per lasciare spazio a una dose consistente di sperimentazione, a incroci stilistici tra elettronica e rock (o quello che ne rimane) e a tanta ironia, a tanti sguardi sarcastici sull’Italia e non solo, che si assommano nei 12 brani proposti. Sembra quasi che i Dilatazione abbiano voluto aprirsi al mondo, uscire dalla loro cameretta dove regnava la malinconia e, una volta fuori, abbiano incontrato una serie di cose, persone e fatti di cui prendersi gioco, adeguando la propria musica e il proprio stile a questa nuova missione. Lo stesso spirito deve animare l’ascoltatore: bisogna essere aperti a suoni non sempre convenzionali e capaci di cogliere l’ironia alla base di quei suoni. In tal caso ci si immerge in un ascolto soddisfacente, ricco di spunti e capace di lasciare il segno, sia esso un ghigno beffardo o qualcosa di più profondo. Già i titoli di molti brani fanno intuire il nuovo spirito dei Dilatazione: per esempio Bettino Krauti, che unisce sample dei ruggenti anni ’80 del grande esule Craxi a ritmiche e inserti elettronici tra Kraftwerk e Neu!, dando un effetto straniante; Exit Poll – Marx On Mars, una cavalcata tra electro e jazz con sax e richiami ai Bee Gees che si perde in una coda da dancefloor spaziale a fine serata; Exit Music (for a Western), che potrebbe essere il punto di incontro tra i Radiohead, Angelo Badalamenti e Ennio Morricone; o ancora Once we were truzzi – E-Doser makes me sick, con tessiture math tra Battles e Pivot, ballabili più di quanto ci si possa aspettare. E questi sono solo alcuni esempi della ricchezza e dell’intelligenza di questo disco, un concentrato di idee e coraggio più che apprezzabile, soprattutto per l’approccio “politico” lontano dalla seriosità che è spesso il maggior limite del mondo indipendente italiano.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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