Ritorno in grande stile per i Dulcamara, pseudonimo dietro il quale si cela Mattia Zani e la sua band, con questo Il Buio, album che si fonda su un concetto tanto interessante quanto la storia della mente pensante del gruppo. L’hip-hop e il freestyle sono il pane quotidiano di Mattia negli anni ’90 finchè una progressione lenta ma inesorabile verso la canonica forma canzone da vita al progetto Dulcamara. Gli sforzi necessari producono Lasciami ad Est nel 2006, ma sarà il viaggio negli States conseguente all’uscita dell’album a lasciare i segni significativi per questo nuovo disco. Possiamo infatti considerare Il Buio un concept album su quel viaggio stesso che Mattia ha fatto, con gli occhi pieni di speranza degli emigranti che un secolo fa traversavano l’Atlantico in cerca di fortuna ma anche con la stessa vena di malinconia di chi lascia una vita per un’altra piena di incognite. L’America, la tanto agognata America, ha mille facce, e il disco cerca di ritrarle tutte: riecheggia delle parole dei poeti della beat generation ma guarda all’intera storia moderna del Nuovo Mondo. Tutto questo è costruito da una band che arrangia in modo magistrale ogni pezzo (il paragone più immediato e inevitabile è con la carovana circense di Capossela) e dalle melodie vocali legate al rap ma che vorrebbero rifarsi al blues sotterraneo nostalgico di Dylan. Altalenante e non poco l’umore e il ritmo delle canzoni, che passano dall’incoraggiante Non c’è tristezza alla nostalgica Cielo d’ottobre. Nonostante ciò, le canzoni ruotano sempre sullo stesso tema, riproposto in tutte le salse senza troppo distaccarsi dalla solita formula musicale, e con somma fatica si raggiunge la fine del disco. 13 canzoni + ghost-track sono fuori di misura e di molto; è preferibile scegliere le tracce migliori, ossia la già citata Non c’è tristezza, Scintille di una notte d’America, Nuda e Male che vada.