Gli Ear sono un trio di Faenza dedito ad un folk slegato dalle tendenze degli ultimi anni e più aderente a quell’ariosa malinconia che avvicina il loro mood ad un impianto sonoro con i modi e i tempi della tradizione. Suoni curatissimi e una produzione attenta al dettaglio sfortunatamente affaticata da un verseggiare libero e indiretto che inanella un cantato privo di una direzione strutturale. Potrebbe essere una scelta, quella di abbandonarsi ad un incedere ritmico che dalla performance sia in grado di distillare quel senso di libertà e di progressione a spirale che, per riferirsi ad un esempio illustre, fa parte dello spirito dei primi Tyrannosaurus Rex, epigoni inclusi (Banhart e cosi via). Gli Ear scelgono una strada opposta e invece di puntare alla tensione, la smorzano con una nenia incerta sul da farsi che restituisce un muro di parole e undici tracce praticamente indistinguibili. In certi casi ridurre e limare è forse un trucco utile e saggio.