Non sono dei principianti gli Elton Junk, e questo Loophole, in uscita per Forears, lo dimostra a pieno. Sono passati otto anni dall’esordio Moods e ad oggi siamo al quarto disco: c’è un’identità forte, una caratterizzazione del suono che li contraddistingue senza però limitarli. Ognuna di queste undici tracce rivela un microcosmo, un’atmosfera che si impone rispetto alle canzoni, data sia dal nucleo base fatto di basso chitarra batteria e voce, sia dalle occasionali aggiunte di fiati, synth, organetti e violini. Loophole offre una riflessione molto approfondita sul rock e a tratti diventa difficile collegare il tutto a un filone comune: si sente il blues rimaneggiato di Tom Waits come pure i vocalizzi di Morrisey, c’è l’umidità di Reckoning dei R.E.M. come pure il caldo torrido dei mantra doorsiani. Ascolti Al fiume e li etichetti troppo facilmente come band post rock, accelerando con l’omonima Loophole pensi di aver trovato l’anima rock finchè non ti ricredi con The Beast Called Rock’n’Roll, dalla progressione che pesta assai; ti illudi anche di poter ballare con Lost finchè non si trasforma in uno standard country e ti stupisci dell’organetto in Particular Skills, bizzarro ma non del tutto inappropriato. Del Miele chiude il disco e rimani ancora una volta a bocca aperta, affascinato dall’inaspettata elettronica; ad essa va il titolo di migliore canzone dell’album. Alla fine dei conti gli Elton Junk colgono nel segno: molti episodi si attestano su un’alta qualità compositiva, i restanti formano un variegato quadro d’insieme. Disco interessante e personale.
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