Emily Jane White fa conoscere la sua musica grazie al lavoro di Cam Archer, cineasta approdata recentemente al lungometraggio dopo una serie di corti e videoclip a passo ridotto prodotti per band come Current 93, Six Organs of Admittance, Xiu Xiu, Zero 7 e ovviamente Emily jane White. Dopo l’inclusione di Wild Tiger i have known nella colonna sonora dell’omonimo lungometraggio di debutto della Archer, la regista americana le ha reso il favore dirigendo una serie di clip dal primo full lenght di Emily inlcuso il brano che gli da il titolo, Dark Undercoat, piccola visione girata in Super 8. Il formato ridotto sembra quello scelto dalla White nelle sue preferenze compositive; scarno ed essenziale, Dark Undercoat non ha niente dell’estetica lo-fi almeno nei risultati formali ottenuti alla consolle da Wainwright Hewlett, affermato guerrilla recordist. Piccoli racconti dal tono crepuscolare legano insieme un songwriting limpido e costituito da pochi elementi; chitarra, piano, viola. E’ una combinazione che permetterebbe confronti ingenerosi rispetto ad un progetto che fonda la sua forza proprio sulla fragilità del suono e per contrasto su una certa solidità letteraria che trascolora da alcune astrazioni vicine all’universo di Silvya Plath fino alle visioni più solitarie di Cormac McCarthy. La voce di Emily sceglie il percorso di un racconto intimo dove la voce è sempre sul livello del limite e raggiunge momenti davvero commoventi nei brani più ossessivi o in quelli dove il supporto strumentale si lega alle asperità di un pianoforte notturno; è il caso di brani come The Demon e la già citata Wild Tigers i have known; insieme a questi, l’incedere dolcemente minaccioso di Hole in The middle, l’intimità elettrica e isolazionista di Dagger, il lieve country spiritual di Bessie Smith, il racconto sul filo del niente della title track sono probabilmente gli episodi migliori di Dark Undercoat, raccolta di musica per piccoli club; timido ed emozionante punto di partenza in attesa di sviluppi ulteriori.