domenica, Dicembre 22, 2024

Emily Plays – I Had A Heart That Loved You So Much (Dischi Soviet Studio, 2011)

avevo un cuore che ti amava tanto; mano al disco, non ho potuto fare a meno di tradurre il titolo e subito la mente va ad un’omonima canzone di Mino Reitano. forse gli Emily plays amano giocare coi rimandi – penso – visto che il nome del gruppo apre fin da subito ad un micro universo di associazioni musicali fra cui capeggiano indiscussi i Pink Floyd.
Album di debutto per la band pavese, che si inserisce all’interno della movimentata scena musicale della zona, accanto ai nomi dei News for lulu, Green like july, Morning telefilm e altri ancora. i had a heart that loved you so much è un lavoro di dieci tracce, dalla musicalità garbata e soffice. fatta esclusione per lost property (cover dei divine comedy), i brani sono stati scritti da Sara Poma (voce e chitarra acustica) e arrangiati dagli Emily Plays, ovvero Giacomo Tota (chitarra elettrica), Davide Impellizzeri (batteria), Marco Albano (tastiere), Simone Fratti (basso). i suoni si orientano verso l’ambito della bassa fedeltà, prediligendo arrangiamenti al limite dell’esecuzione a cappella. ne deriva un album raffinato, suonato con le stesse sfumature di un acquarello anche se talvolta rischia di assottigliarsi su un monotonismo prevedibile. Hands that don’t catch e when you say it’s broken, svelano in apertura gli ingredienti della band; riff di chitarra incalzanti, linee di basso asciutte e essenziali, intromissioni moderate della batteria che fanno da cornice al costante duetto di tastiera e voce che beneficiano dei cori e dello sdoppiamento della voce. segue decemeber, canzone dalla quale è stato realizzato l’omonimo video, una ballata dal sapore britannico, che richiama ad alcuni passaggi di let england shake. tuttavia è con pezzi come on and on e (this love will take its) toll che gli Emily Plays raggiungono i migliori risultati, poiché riescono nella proficua contaminazione di melodie ariose e pacate con suoni più cupi, a tratti inquieti. Un album che risente di varie tendenze e spinte, da un lato quella più orientata ad una esecuzione acustica e dall’altro quella tesa verso l’arricchimento sonoro mossa da un certo gusto per la partitura e l’arrangiamento. un buon lavoro di debutto che – spero – diventi una spinta alla ricerca della propria emancipazione.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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