Un full lenght d’esordio per gli Esperia che, dopo l’ep Buster, si ripresentano con L’odore della vita. Il loro sound, che prende vita nel lontano 1995, è da sempre contraddistinto da un taglio rock fortemente melodico. In questo capitolo la formazione italiana schiera undici incisioni caratterizzate da un’anima rocciosa con accorgimenti meno ruvidi che addolciscono l’aspetto del disco. Un aspetto non del tutto definibile, con sprazzi acustici alla Clan Destino in I miei passi, toni scanzonati e rockeggianti tipici dei Negrita in L’odore di vita e atteggiamenti a cavallo tra pop e rock di Nei tuoi occhi che rimandano molto a Daniele Silvestri. Un pot-pourri che rischia di far passare in secondo piano l’identità degli Esperia che stenta ad emergere rendendo difficile un ascolto privo di punti di domanda. Se un pezzo come Il maestro trasuda una buona attitudine strumentale con belle distorsioni e ritmiche sincopate, la parte testuale rischia di far scivolare il tutto nella banalità, (“Ti chiederà/ un cucchiaio di gelato/ da usare come plettro.”) diminuendone l’originalità. La struttura dei brani rimane simile per tutte le tappe con deboli innesti di armonica incastonata nel canonico strofa-ritornello-strofa-ritornello-assolo, che ingabbia l’intero ascolto rendendolo eccessivamente ermetico. Incontro il destino, l’open track, rimane l’accento più positivo di L’odore della vita, il pezzo con maggiori spunti interessanti, dove spicca, a differenza del resto, una buona dose d’intimità finalmente confessata, una prova che dimostra una vena compositiva che sa anche colpire. Resta l’amarezza d’aver scorto solo in parte la vera natura della band pesarese la quale, evidentemente, ha dato più peso a virtuosismi chitarristici piuttosto che a imprimere la propria conformità nel disco.