The Old And The New World è il primo EP dei trevigiani Ethienne, un gruppo di quattro ragazzi che di italiano sembrano avere ben poco, a partire dall’etichetta che li produce, l’indipendente Deep Elm Records (Athletics e Nada Surf per citarne alcuni), situata a Charlotte (North Carolina). Ormai la musica è un territorio senza confini e questa prima prova su disco degli Ethienne ne è la conferma: dodici tracce in lingua inglese che spaziano dal pop rock americano all’ondata British di gruppi come Muse, Coldplay e Radiohead. Se il primo singolo, Ultrapop!, è tanto immediato quanto virtuoso, le altre tracce si dividono tra “il vecchio ed il nuovo mondo”, ovvero, rilanciano con precisione la lezione appresa dai gruppi di riferimento dei generi musicali in questione, siano essi europei o americani. Tradotto: i ragazzi ci sanno fare ed il fatto che l’etichetta americana che ha voluto dar loro una possibilità, si occupi solamente della promozione dell’album (il disco è infatti autoprodotto e distribuito gratuitamente ai concerti) ci fa capire di che pasta siano fatti. Gli Ethienne ci accolgono con So Good Night Day e da subito si capisce quanto duro lavoro ci sia dietro: testi accessibili, melodie affabili ed una credibilità, per quanto riguarda la pronuncia inglese, che non sempre è prioritaria tra gli artisti non anglofoni. First In The Snow prende in presto l’epicità dei Muse, “americanizzandola”, senza perdere però il vizio del ritornello meno marcato rispetto al resto dei versi. Con A.M. si cambia strada, siamo sempre tra il crossover ed il rock alternativo da classifica: traccia perfetta per un video ben prodotto. Lo stesso vale per la ballata su piano Crave che esplode su batteria 4/4 e chitarra infiammata con quella voce modulata tipica degli americani Linkin Park, qui con qualche spunto elettronico originale in più. Le ballate (e le incursioni di piano) sembrano essere il loro forte; l’intro fragile di Lullaby, però, si trattiene a stento ed esplode in un concerto di chitarre aeree mai invadenti. Che si tratti di ballate o pezzi uptempo, gli Ethienne sanno mantenere una certa vena malinconica, ed è questo il loro segno distintivo, quel non voler caricare i propri pezzi di un ottimismo che non contraddistingue certamente il mondo in cui viviamo. Si ascolti l’emotiva Iter, un ripetersi di suoni elettrici che ricordano vagamente Maps degli Yeah Yeah Yeahs, in una versione che si basa sul motto “non è mai troppo tardi”, oppure la finale District Line, alla quale non manca niente per riuscire nell’intento di (ri)portare un artista italiano nelle classifiche mondiali. Questa prova degli Ethienne è un esempio di come si possa fare buona musica, di spessore, senza trascurare una certa immediatezza, quel tocco in più che, senza alcun dubbio, porterà fortuna a questi quattro ragazzi.