I Falcon sono una vera band indipendente, da Brooklyn, luogo di residenza, sono riusciti a lavorare col produttore americano Dave Fridmann, già visto al fianco di grandi nomi della scena alternativa, come gli MGMT, i Flaming Lips e le Sleater Kinney, il tutto senza dover rinunciare alla loro autonomia, rappresentata da questo disco autoprodotto. La traccia di apertura di Disappear, il loro primo full-lenght, racconta tanto sul marchio sonoro di questo gruppo di ragazzi newyorkesi. Say Goodbye, questo il titolo della canzone, rappresenta l’emblema delle grandi produzioni: ottimi spunti disseminati nel brano in maniera ordinata (e ordinaria) e per questo, non certamente innovativi, seppur di impatto. I Falcon si formano nel 2004, dall’incontro tra Neil Rosen (voce) e Shannon Ferguson (chitarra). I due prendono il proprio nome da Jared Falcon, un loro compagno di classe morto a soli quattordici anni, a causa di una meningite. Come ogni storia triste, in perfetto stile “American Dream”, anche questa ha un risvolto positivo: dopo aver tributato il nome della band al loro amico scomparso, i due decidono di pubblicare un primo EP, nel quale rifanno le canzoni che lo sfortunato compagno di classe aveva registrato con mezzi di fortuna tempo addietro. Anche per questo disco, come già è accaduto col precedente EP, i Falcon (ai quali si sono poi aggiunti il bassista Christian Bongers ed il batterista Jason Molina), hanno inciso alcune canzoni di Jared e, una volta rivoluzionate musicalmente, le hanno proposte, insieme ad altre scritte dalla nuova formazione che in effetti, non ha nulla a che vedere col progetto solista originario. Così, quella figura triste e spettrale è andata pian piano affievolendosi e – come afferma lo stesso Neil Rosen – l’ispirazione per il disco è diventata un’altra: Into The Wilde, il film diretto da Sean Penn, dove al protagonista è comunque riservato un finale tanto triste quanto quello del loro reale amico. Musicalmente questo album lo si può collocare tra l’indie-rock e lo shoegaze più sognante: si ascolti Stories o la title-track, sempre evocative, seppur attente nel creare melodie immediate. Il disco passa dalle contaminazioni space-western del primo singolo, agli arpeggi di Terrified (Happy Days Are Ahead), che trattiene nella melodia quel tocco fanciullesco che soltanto uno studente appena adolescente saprebbe dare. In Worries, cambia il ritmo, reso con uno snapping sintetico ed un incedere che ricorda tanto alcuni episodi degli Smashing Pumpkins, in My Heart Is Good il gruppo sfrutta nuovamente i tappeti elettronici sognanti per costruire storie musicali struggenti ed affascinanti. Viene da chiedersi chi sia quell’uomo in copertina del cd, una figura che cammina di spalle, con una ventiquattrore ed un abbigliamento formale, diretto verso un luogo che mai ci sarà permesso conoscere, né a noi, né agli stessi Falcon; un po’ come è successo con Jared che però, grazie alla musica, non è mai veramente scomparso.