L’album di debutto dei Field Music è ormai vaporizzato insieme al sole di agosto, e la band di Sunderland continua a sciorinare singoli ed EP; il più recente if only the moon were up è del 21 di novembre e sul web si trovano i soliti entusiasti per lo più dall’altra parte dell’oceano, perchè nelle pieghe della rete versione italica, tra blog e webzine, il cd non si è guadagnato neanche uno straccio di recensione, tranne smentite dell’ultimo secondo. In effetti anche se si dovesse trattare della solita melassa pop che non esce da quell’equilibrio della confezione perfetta che cammina sul filo tra Beach Boys e Beatles, l’esercizio sulla forma breve dei FIeld Music è davvero sorprendente e sinceramente ha più smalto degli ultimi, incartapecoriti Super Furry Animals o del tentativo di maturazione(?) dei Supergrass. C’è qualcosa che per certi versi li avvicina all’intelligenza sotto forma di ripetizione di Stereolab o Sufjan Stevens, pur con una differenza sostanziale di approccio, che gli permette di recuperare anche emozionanti handclaps alla Hunky Dory (ma con le mani artificiali, il frullatore culturale del buon Sufjan, non è da meno). Il poptrio direttamente dal sito ufficiale denuncia influenze tra le più disparate, tirando fuori dal cilindro delle citazioni: My Bloody Valentine, Stravinsky, Thelonious Monk, R&B made in Stax, Big Star, Jimmy Smith, Serge Gainsbourg, The Neptunes. Sigilla il tutto la copertina del cd di debutto, e quelle dei singoli in successione, con un consueto ammicamento optical art style. Indie-eye dall’occhio passa direttamente all’orecchio e propone il consueto download di tracce disponibili in rete.
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