England Keeps My Bones è il quarto album di Frank Turner con il quale imbocca di netto la direzione della narrazione e del racconto, coniugando a un certo fatalismo il migliore assodato cinismo made in UK. A partire dall’opener, Eulogy, Turner sfoggia la sua vocazione demistificatrice dimostrando con ciò di aver metabolizzato la lezione punk- hardcore appresa durante i cinque anni con i Million Dead tant’è che l’ex frontman della band inglese si trova a constatare che “Not everyone can grow up to be an astronaut”, come a voler dire che non tutti potranno realizzare i propri progetti e, soprattutto, non tutti hanno le capacità per farlo a differenza di lui, che perlomeno la sfida l’ha voluta cogliere senza rimpianti. A seguire Peggy Sang The Blues, singolo dell’album che spezza da subito il mood più riflessivo del brano precedente, lasciandosi trasportare sulle note dal ritmo orecchiabile alla Counting Crows. Il testo è una raffica di precetti di saggezza antica, come il ritornello che recita “It doesn’t matter where you come from / it only matters where you go”. La vocazione a scrivere dei testi come se fossero una raffica di messaggi prosegue con I Still Believe in cui Turner mescola la sincerità quasi ingenua del “Rock ‘n roll will save us all” al cinismo della strofa subito dopo, ovvero che ciascuno in fondo può salire sul palco e fare qualcosa di buono per un giusto compenso. Non è solo la schiettezza a farsi protagonista dei temi dell’album, anche un recuperato patriottismo. English Curse è un rapido racconto epico sulla conquista di una cappella normanna nelle foreste inglesi dal quale trapelano in controluce le capacità di resistenza della nazione della regina. Cantata interamente a cappella, English Curse mette in primo piano l’espressività del timbro di Frank che, anche in questo album, si mostra granitica. Rivers e Wessex Boy, approfondiscono il sentimento nostalgico che percorre l’album delineando il ritratto di una nazione idilliaca, una sorta di età dell’oro dell’Inghilterra, quella fatta di rassicuranti paesaggi collinari, nebbie e scogliere e non di fumi e tentazioni cittadine che portano a “bruciarsi” come nella descrizione di Nights Become Days. Con Glory Hallelujah si chiude il percorso dell’album, un pezzo che lo stesso Turner ha dichiarato essere un inno ateo, come si può intuire dal verso del ritornello “There is no god”. Senza essere un album sensazionale per sonorità e scelte musicale, England Keeps My Bones è un buon album, piacevole all’ascolto e scorrevole pur non essendo la migliore delle proposte di casa Turner.