Semmai qualcuno avesse perso di vista la Woodsist, allertato chissà dal frenetico trillo di kazoo che i delatori di un certo indiepop avrebbero messo in piedi raccogliendo sempre più accoliti, ecco questo Monster Head Room dei californiani Ganglians. Sopperiti così, di fatto, gli eventuali scompensi dovuti alla defezione anagrafica dei comunque intramontabili Beach Boys e verosimilmente a troppa poca distanza dal folk pastorale dei Fleet Foxes, il quartetto in questione prova a ridimensionare tutto il percorso low-fi con la stessa distanza che c’è tra “And The Surrounding Mountains” dei conterranei Radar Bros e l’ardire di certi ambienti sperimentali. Si passa dunque, seguendo l’ordine mistificatore che potrebbe osservarsi nel ciclo di una lavatrice, dalle docili, storte ed accattivanti ballate indiepop al gusto sixties ed un onnipresente verve surf (Lost words – Try to understand, Candy Girl) agli ambienti sinistri di tracce come Valient Brave, così subdolamente perfetta, capace di filtrare il pedigree dei nostri con suoni e genuinità da cesura primordiale. Uno stillicidio di godibili melodie inaridite in nome di una ragion di stato che muove dalla follia di alcuni inserti naif (To june, Into the void) e da derivati dal cespite sperimentale e scuro di talune cose del blues elettrico di fine anni ’70 (100 years). Il tutto rivisto ovviamente con l’ineffabile fascino di frammenti di folk-noise-pop multiforme e farcito all’occorrenza da sbandierati minimalismi (Modern African Queen) utilissimi a liquidare eventuali depistaggi radio-friendly (Cryin’ smoke). Non mancano infine anche stranezze del calibro di Blood on the sand che suona come se un nuovo impasto di droghe preparato dai perniciosi Joy Division disinibisse gli U2 di Boy donandogli meno costipazione. Interessante. Nessun miracolo ma obiettivo comunque centrato.