“C’è un me dentro di me” è il primo disco per Giovanni Truppi, giovane cantautore napoletano. Dodici brani in cui emerge innanzitutto una gran voglia di fare, di stupire, di non limitarsi alla classica canzone italiana, con una buona dose di incoscienza giovanile come spinta propulsiva; caratteristiche che non portano comunque a rinunciare ad appellarsi ad una solida base musicale e culturale e ad una indubbia capacità di scrivere brani. Le citazioni e i rimandi si rincorrono lungo tutta la durata dal disco, cambiando di brano in brano; il risultato è una eterogeneità che allontana la noia senza risultare al tempo stesso forzata o in qualche modo disturbante. Si parte così con le sonorità anni ’60 e un po’ swingate di “Dormiamo Nudi”, contraddistinta da un ottimo uso dell’organo in sottofondo, per poi passare a un pezzo più rock e lo-fi, con chitarra grezza e testo a tratti non-sense, cioè “Mario (Niente da dimenticare)”. Dopo il ritorno indietro nel tempo con “Scomparire”, che sarebbe stata perfetta cantata da Mina ai tempi d’oro, col suo incedere classicamente autorale e un testo più che romantico (due che si abbracciano strettissimi ce la fanno a scomparire), è il turno della riproposizione delle atmosfere jazzate in “Mandorle”, in cui Giovanni gioca con la voce, rivelando una duttilità inaspettata. La seguente “Manuela” è invece il brano più estivo del disco, con un ritornello che richiama il primo Bersani, mentre “C’è un me” è un breve divertissement completamente incentrato sulla voce. “Soffiando” vira verso influenze anni ’90, con chitarre e strutture riconducibili a Jeff Buckley; l’intro di “Tanti Auguri” è sulla stessa lunghezza d’onda, richiamando “Grace”, se non fosse che la canzone è una cover di Raffaella Carrà. La successiva “Ti siedi” è il brano migliore del disco, intensissimo sia liricamente sia musicalmente, un concentrato di amarezza tale da necessitare di un momento più leggero, almeno a livello di suoni, nella seguente “Respiro” e nel caldo funky assassino di “Vito è un razzo”. Il finale è affidato a “La nostra ultima notte d’amore”, con arpeggi di accompagnamento ancora nel solco di Buckley jr. e un testo tra i migliori del disco, semplice ma sentitissimo.