L’album di debutto di Cameron Mesirow, in arte Glasser, lascia a bocca aperta sin dalla copertina (a detta di molti la migliore dell’anno). Ring è un’opera tanto semplice da ascoltare quanto complessa nella sua struttura. Già dal titolo la Mesirow sottolinea una peculiarità del disco: esso è concepito per essere ascoltato in loop, senza inizio né fine come i grandi capolavori della letteratura antica, o per rimanere in campo musicale, come Ok Computer dei Radiohead. Anche le canzoni prese singolarmente si concedono allo sguardo come un anello pregiato (Ring, appunto), dove alla lucentezza della parte convessa, che corrisponde alla canzone stessa, fa da contraltare l’opacità concava dell’interno dell’anello, rappresentato dai loop e dagli inquietanti rumori che intercorrono tra la fine di una traccia e l’inizio dell’altra. Per quanto riguarda la musica, l’artista losangelina ha proceduto costruendo prima le basi ritmiche, in loop e quindi circolari, ricche di tastiere ruvide e percussioni; in seguito ha aggiunto la parte vocale, fulcro del disco, formata essenzialmente da cori angelici e voli pindarici. E’ impossibile non chiamare in causa Bjork, il suo spirito è presente senza le solite svolazzate timbriche, ma l’influenza maggiore provenga dai Cocteau Twins, (è evidente in questo disco una semplificazione delle loro opere magniloquenti) e da Kate Nash. Nonostante questo, l’album è piacevole nella sua semplicità e anche quando uno xilofono dal ritmo stupido introduce Home e noi ci rassegniamo a sentire la classica traccia riempitivo, lei riesce a tirar fuori una canzone super, quindi immaginatevi il viaggio onirico di Tremel, la tribale apripista Apply e l’orientale Plane Temp. Bene, brava, bis, ter, quater, ecc. La noia tarderà ad arrivare.