Sarebbe facile comprimere e decomprimere, giocare sul piano/forte, impiegare le pause per poi distruggere tutto nei crescendo. Sarebbe una tattica scontata e vincente abusare della potenza di fuoco delle chitarre, dei fraseggi bombaroli tipicamente Hardcore, sfruttare la voglia di sangue dei tanti “kids” sparsi sulla Penisola.
Tutto questo farebbe de Il Buio la nuova sensazione rock italiana, ma loro non sono scontati, preferiscono la violenza trattenuta e non platealmente data in pasto alla massa, optano per il controllo, non per lo sfascio.
La scelta li premia, perché L’Oceano Quieto è un disco dalla scrittura eccelsa, non banale. A cominciare dai testi che non si guardano in maniera onanistica la punta delle scarpe, non vivono soltanto del proprio sguardo riflesso su se stesso tipico di tanti indie cantautori nostrani, ma cercano di proporre una visione differente, una sorta di flusso di coscienza di un “noi” collettivo che si trasfigura quasi come una politica dell’anima. C’è voglia di condivisione in questo disco, ma c’è anche tanta rabbia. La voce di una generazione (o meglio, di parte di essa) che sa benissimo come vanno le cose.
Si diceva della violenza trattenuta: pensate alla seconda parte di carriera dei Fugazi (ovviamente facendo le debite proporzioni), a quel Post Hardcore che si fa disciplina del controllo mentre riflette sul suo essere adulto; pensate anche a certo Post Rock nervoso ed affilato, metteteci dentro la tensione emotiva di liriche come quelle di Parole alla polvere, Marionette, Nel vento freddo ed avrete una idea un po’ più chiara di ciò che si sta trattando.
Via dalla realtà, 7 (già edita su 7”) gioca la carta del refrain ripetuto (in un disco che non ha facili ritornelli), Da che parte state mette un attimo nell’angolo le chitarre elettriche e imbraccia quelle acustiche, protest song che non lascia indifferenti: sono divagazioni da un disco che per il resto è compatto, intenzionalmente monolitico e spietatamente progettuale.