C’è una cura tutta “new age” nel primo full lenght de Il cielo di Bagdad, dalla confezione del CD passando per il titolo sino alla struttura dei brani; certo non è la nuova era degli anni ’80, ma gli effetti di questa lunga scia post-post-post-qualcosa restituiscono un’immagine di maniera molto simile. Malinconia da esportazione potremmo dire con un giochino facile facile; eppure nonostante la band Campana abbia conseguito un attestato di stima basandosi quasi esclusivamente sulle proprie forze, non bastano più di 50.000 contatti myspace e uno spirito d’autonomia apprezzabile per convincere del tutto. Manca solo la neve, Il primo Ep della band, esce sotto Creative Commons nel 2007 e getta le basi per il nuovo full lenght pubblicato da RecBedRoom in uscita il 13 Ottobre 2008. Si fa fatica ad entrare nel mondo etereo de Il cielo di Bagdad senza un pregiudizio molto preciso, questo perchè la superficie della loro musica è architettata per riempire una griglia di intuizioni così sfruttate da non lasciare via d’uscita; è un universo fatto di pieni e di vuoti orchestrali, saturazioni e crescendo provenienti da suggestioni cinematografiche che nel tempo hanno subito un doppio assorbimento, perdita dei modelli per strada e annichilimento in una serie di norme riprodotte pedissequamente da decine di band. Non occorre far nomi, basta dire che esempi come questo dimenticano a casa l’aspetto più importante: un immaginario vitale e autonomo.