I Jocelyn Pulsar sono Francesco Pizzinelli, forlivese fiero di esserlo che da poco ha superato i trent’anni, e “Il gruppo spalla non fa il soundcheck” è il suo quinto disco riconosciuto (ve n’è un altro precedente a tutti, ma viene inteso come capitolo a parte); avevamo già parlato di loro con la recensione di Penso a Sonia ma suono per la gloria. In queste otto tracce troviamo tutto quel mondo provinciale e autobiografico al quale Jocelyn Pulsar ci ha abituato finora, ma vi sono dei cambiamenti non da poco. Per quanto riguarda la musica, siamo sempre dalle parti di quel pop casalingo fatto di chitarra acustica e voce, adornati di handclapping, tastierine e cori, da considerarsi quasi un vero e proprio marchio di fabbrica del gruppo. Da annotare una maggiore accuratezza nella produzione, merito della collaborazione con Enrico Berto (Amari), e anche una maggiore confidenza di Francesco nel cantare: si sente che la voce è meno costretta (anche dal nascondere la naturale inflessione dialettale), e questo rende il tutto più autentico e personale. Sul fronte dei testi invece notiamo un salto avanti notevole: in molti episodi infatti vengono accantonati i ricordi d’infanzia e gli onnipresenti anni ’80 (eccezion fatta per W la tecnologia, un tuffo nel passato prossimo e remoto) per puntare lo sguardo verso la quotidianità, i rapporti interpersonali, i sogni di gloria e le necessità materiali. Se nella prima metà del disco le canzoni descrivono situazioni, storie altrui (Jennifer e la piazza) e piccole lezioni di vita (l’omonima traccia del disco), nella seconda è Francesco a raccontarsi, frugando dentro sé e i suoi malinconici pensieri presenti (Spaghetti di riso con le verdure senza uova), passati (Potevo essere) e futuri (Cinquant’anni). Lo stile di narrazione è naif, sincero ma ingenuo, di un ragazzo adulto ancora affascinato dalla visione del mondo dei bambini, che considera ancora buoni gli insegnamenti dei genitori di quando era piccolo. Ci sono molte piccole verità in questo disco, lezioni di vita sparse qua e là come in un quaderno d’appunti dalle pagine ingiallite dal tempo: per questo si può azzardare un paragone con un Max Pezzali degli ultimi tempi, tolte le riflessioni sui massimi sistemi delle relazioni sentimentali, per lo stesso sguardo bonario verso il tempo che passa e che fu. Per andare sul sicuro comunque i riferimenti chiave sono Cremonini e Bersani delle origini, nella tradizione della canzone pop emiliano-romagnola, ma anche Dente e Brunori Sas, nomi accostati a ogni piè sospinto per richiamare il cantautorato del quotidiano degli anni zero. Consiglio questo disco a chi cerca un ascolto in relax senza messaggi profondi, morali nascoste o menate varie.