Mi ero già occupato di Maltominimarco in una veste differente e soprattutto in tempi non sospetti. Mi sembra importante tornare a parlare di uno dei debutti Italiani più interessanti del 2005 per trovare una collocazione alla Musica di Maltominimarco anche qui su Indie-eye, proprio nel momento in cui (certa) blogosfera sente la necessità di nutrirsi del proprio linguaggio. Maltominimarco è davvero crudele ed è fuori dalla dinamica consociativa corretto/scorretto; questa, soprattutto nella versione scorretta, è quasi sempre una variante sofisticata della società dello spettacolo, con gli estimatori più accaniti travestiti da situazionisti della domenica. Dietro Maltominimarco c’è Marco Maltomini che sanguina e il lavoro di diffusione operato da Alpha South Records per conto di Audioglobe; in calce a questo approfondimento proponiamo un Podcast presentato dalla voce stessa di Maltominimarco, catturata prima ancora che Animal Ferox venisse pubblicato.Tra il 2004 e il 2005 entro in possesso di un demo autoprodotto grazie alla generosità di alcuni amici. Abbozzato da un tratto indeciso di biro il titolo e l’autore; Lo Zibardone vol. 1 di Maltominimarco. I generosi amici mi assicurano trattarsi di materiale davvero unico e autoprodotto, soprattutto se per autoproduzione si intende l’ostinata capacità di lasciarsi dietro le spalle il buonsenso di una qualsiasi guida artistica, l’illusione della confezione perfetta, il salotto del buongusto, il trucco e l’inganno del pop Italiano “che conta”. In 60 minuti scarsi Lo Zibardone si incunea nel cranio e riesce a materializzare una zona oscura da arredare con le sue tracce sbilenche; canzoni senza appartamento. Di questa esperienza da ascoltare tutta d’un fiato L’impostore in versione modulazione di frequenza distilla uno dei brani dello Zibardone in uno speciale chiamato Immaginary soundtrax, costruito insieme alla detection con(tro) un gruppo di artisti italiani nel loro rapporto con il cinema; Andrea Chimenti, Lalli, Millenium Bug Orchestra, Cristina Donà e altri raccontano il loro occhio, e tra di loro come un alone di candeggina si fa strada il lamento straziante di Maltominimarco. Non guardarmi negli occhi sennò t’ammazzo. Maltominimarco farfuglia qualcosa su Full Metal Jacket per raccontare il suo cinemaincubo e la trasmissione si chiude. Il resto è storia, Audioglobe già dal tre ottobre 2005 ha infatti dato alle stampe il primo cd di Maltominimarco affidato all’ortodossia della distribuzione. Non nascondiamo un certo timore nell’avvicinarci al cd; layout accattivante, grafica curatissima, riquadro imbrattato di sangue per applicare il bollino S.I.A.E, appeal da b-movie, e infine il titolo, Animal Ferox, un omaggio alle efferatezze del nostro cinema fuori margine, in tempi purtroppo molto sospetti. Ma è la piccola indicazione AAD che incorona il logo della Alpha South Records a fugare i dubbi di un possibile addomesticamento del cinismo produttivo di Zibardone; invece di cauterizzare la sua ostinata ricerca sonora e di abbandonare le possibilità combinatorie del 4 piste a favore di una produzione invadente, ci inganna con la confezione da vetrina indie e fa fede a quell’indicazione di cui si parlava; AAD. Prende il suo demo, lo sbatte senza complimenti in un cd regolarmente distribuito,aggiungendo nuove tracce assolutamente imperfette. Difficile restituire il senso di vertigine che la musica di Maltominimarco riesce a procurare, ma è davvero straordinario come non si sia intervenuti sul suo lavoro, se non per pompare qualche “coro” o semplicemente per bilanciare il volume. Maltomini suona e canta Maltomini, in una versione, se possibile, davvero mongoloide (a la Devo) di Zappa, non si preoccupa della sincronia o del beat; la disarticolazione è il buco nero lasciato dal suo suono in una Historia De la Musica Rock risucchiata in avanti. Riferirsi al solito cataloghino di citazioni serve a poco, ma se ascoltando un brano come “Sono Buono” degli Skiantos, si riuscisse a parlare una buona volta della dissoluzione verso il margine realizzata dalla texture chitarra/basso/batteria in un fade out senza fine piuttosto che perdersi nelle piccolezze del demenziale, dovremmo riuscire a farci un’idea inquietante e sconfortevole della musica di Maltominimarco. Torna torna quell’uomo di merda, che dove sputa non cresce più l’erba. C’è la crudeltà tutta toscana della favola maledetta e amara, ma non come citazione colta da osservare a distanza di sicurezza; piuttosto il mesmerismo della ripetizione che mette in suono il suo costante riallocarsi. Si sa, del cluster minimale Pop e Rock hanno ammortizzato una retorica ormai innocua e suasiva; sia che ci si riferisca al genoma McCartney o a quello Velvet Underground, e parlo dell’uso di un genoma come dna colto, anestetico che neutralizza. Maltominimarco se ne fotte e sconquassa l’inquadratura, muove il movimento, rende irriconoscibile la sua voce strumento, scazza tempo e scalza i suoni progressivamente, sdoppia la percezione dell’ascoltatore e la rende difficile, intollerabile e allo stesso tempo getta l’esca del coro (Brindiamo, L’animale), della parodia hip-pop sbilenca e improbabile (Merda, Op Negra), dello spettro di ballata (la dolce morte), del punk funzionale (Rifiuto, t’ammazzo) e senza esagerare insieme ad Afrirampo e pochi altri ri-costruisce e dissolve l’unico “noise” possibile.
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