giovedì, Novembre 21, 2024

Intervista a Cristina Donà

Cristina Donà è stata l’headliner della prima serata di Frequenze Disturbate, ennesimo riconoscimento alla sua ottima carriera e alla sua importanza nel panorama musicale italiano. Poche ore prima del concerto in Piazza Duca Federico ha incontrato la stampa, rispondendo a domande sugli ultimi 2 album e sul suo rapporto con letteratura e arte.

[Foto di Francesca Pontiggia per il foto set completo del concerto di Cristina Donà del 9 agosto 2008 al Frequenze Disturbate di Urbino, è necessario cliccare qui ]

Di nuovo a Urbino dopo la tua partecipazione alle edizioni del festival del 1998 e del 2000. Quali sensazioni ti provoca questo ritorno?

Sono felice di tornare qui. Ho bei ricordi in particolare del concerto del 2000; in quell’occasione aveva piovuto tutto il giorno, si temeva che il concerto sarebbe saltato, invece alla fine tornò il sereno e suonammo quasi a sorpresa; riuscii a vedere anche una stella cadente. C’è inoltre un legame affettivo, ho molti amici marchigiani, a partire da Michele Monina, con cui ho scritto un libro e grazie al quale ho ampliato le mie conoscenze nelle Marche.

Parliamo de “La quinta stagione”. Cosa c’è dietro questo titolo, legato alla spiritualità?

C’è una ricerca, che partiva da un periodo particolarmente impegnativo della mia vita; una ricerca se vuoi spirituale legata alle discipline che riguardano la medicina tradizionale cinese su cui ho letto dei libri. Quando ho sentito per la prima volta citare una quinta stagione mi ha affascinato il concetto e l’ho approfondito. La quinta stagione è una stagione intermedia, una parte della medicina tradizionale cinese la vede come un periodo fondamentale situato tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Il primo brano, da cui è partito il progetto del disco, è “Settembre”, che eseguivo già nel ’96 ed è nato come solo vocale poi col tempo è stato un po’ arrangiato. Da lì sono seguiti gli altri che non si riferiscono tutti direttamente a quel tema, ma ci sono dentro un sacco di cose, il concetto di preparazione e quello di passaggio che sono tipici proprio della quinta stagione.

E’ stata una scelta legata ai temi far uscire il disco a settembre?

Sì, avrei voluto ripeterlo per “Piccola faccia”, facendolo uscire questo settembre anche perché non mi pareva un album primaverile ma alla fine sono stata così contenta del risultato che mi è andata bene l’uscita a marzo, l’ho vista come una specie di finestra sulla quinta stagione. Il disco precedente ha comunque un’anima acustica con caratteristiche e suoni non molto lontani da quelli di “Piccola faccia”.

Come dicevi, “La quinta stagione” ha nella scrittura elementi acustici, mentre “Piccola faccia” è una rivisitazione completamente acustica dei tuoi brani. Qual è il legame profondo tra i due dischi?

Il legame sta nel fatto che fondamentalmente io compongo quasi sempre chitarra-voce, a parte alcuni brani che nascono da esperimenti percussivi o da qualche accordo al piano. Quindi la base è quella; l’idea di base di “Piccola faccia” è di presentare i brani come sono nati e anche di soddisfare una richiesta che mi è arrivata più volte dopo i concerti che io eseguivo da sola, di avere una testimonianza su cd di questi brani così acustici. Il legame sono io alla fine; poi mi piace entrare in studio e pensare come arrangiare un brano, però secondo me una canzone è tale se resta in piedi così, magari anche solo cantata, come ad esempio “Settembre”.

Perché stasera un set elettrico?

La mia intenzione era di far uscire a settembre “Piccola faccia” anche perché volevamo proseguire con il tour con la band di “La quinta stagione” in estate. Ci ha messo un po’ in difficoltà l’uscita di un disco così diverso da quello che stavamo proponendo live in quel momento, anche perché quando esce un disco il pubblico si aspetta giustamente che tu promuova quello; d’estate, visto che spesso si suona nelle piazze e in luoghi aperti, e dato che il tour precedente era stato di sole 15 date, portiamo in giro questo set elettrico poi ne faremo uno super-acustico quest’inverno con Francesco Garolfi che è il chitarrista di “Piccola faccia”. Stasera aprirò il concerto con un pezzo chitarra-voce da sola per legare in qualche modo le due cose.

Nel corso della tua carriera hai incontrato in modo diretto il mondo della scrittura e della letteratura. Mi riferisco a “Appena sotto le nuvole”, una raccolta di tuoi scritti pubblicata da Mondadori nel 2000, e il lavoro più narrativamente strutturato di “God Bless America”, scritto con Michele Monina. Com’è stato muoversi tra questi due mondi così vicini e così lontani come quello della scrittura e della musica?

Io non mi sono mai considerata una scrittrice, ho cominciato a scrivere testi perché dopo anni in cui mi sono esibita con delle cover sentivo l’esigenza di cantare cose mie e quindi la scrittura diventava indispensabile. Non ho l’idea di essere una scrittrice perché non ne ho le capacità, non ho il background, non ho letto così tanti libri da essere in grado di scriverne uno se non una sorta di raccolta di pensieri come era concepito “Appena sopra le nuvole” che si ricollegava al mio lavoro di cantautrice. Avevo cercato di diversificare un po’ il linguaggio, oltre a testi di canzoni c’erano anche altre cose. Tra l’altro sono felice di avere ritrovato ed acquistato alcune copie dalla Mondadori, non si trovavano più in commercio mentre ai concerti un sacco di gente lo richiedeva. “God Less America” invece è scritto da Michele Monina perché alla fine lo scrittore era lui, ci sono dei miei pensieri; in realtà doveva esserci molto più di mio ma ho deciso che andava bene così. La relazione tra musica e scrittura, quando si parla di cantautori, per me è sempre stata molto forte perché ho sempre dedicato molta attenzione ai testi. Quando ho iniziato a scrivere cose mie la prima esigenza è stata avere dei testi forti che andassero contro certe logiche anche perché uscivo per un’etichetta come la Mescal; non avevo nessun vincolo ho scritto quello che mi veniva in mente e che mi piaceva. E’ un rapporto interessante anche difficile; Davey Ray Moor, che è il produttore di due miei album, mi ha detto che a volte le parole possono rovinare e turbare la magia della musica, ed è vero: io ogni volta cerco di far sì che vadano d’accordo.

Se dovessi rispondere d’istinto a quali personaggi letterari senti più vicini e più tuoi?

Citerò solo delle donne perché sono le prime che mi vengono in mente e quelle a cui mi sono più affezionata ultimamente. Io mi sono innamorata di una poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura, Wislawa Szymborska. L’ho conosciuta perché mi hanno regalato un suo libro di poesie, che è “Gente sul ponte”. Qualche tempo prima ho conosciuto Ippolita Avalli, una scrittrice romana autrice di libri molto belli, romanzi con una forza disarmante. Poi c’è Sylvia Plath, ho curato per il Roccella Jonica Jazz Festival un tributo alle sue poesie. C’è da considerare l’influenza, che è stata fondamentale, di un marito come il mio, Davide Sapienza, scrittore e giornalista straordinario che ama moltissimo la letteratura e che quindi mi passa dei libri; in questo caso cito il filone legato a Jack London o a personaggi come Barry Lopez che siamo anche andati a trovare l’anno scorso. Poi mi sono letta, un anno e mezzo fa, “Il profumo” di Suskind che mi ha ispirato per una canzone, “Laure (il profumo)” perché è un libro straordinario.

Restando in tema letterario, ad Amsterdam è stata da poco inaugurata una nuova biblioteca in cui la musica pop ha la stessa dignità dei classici greci e latini. Come ti ci sentiresti?

Lasciando perdere me, perché non saprei come collocarmi, credo che ad esempio Battisti-Mogol o De André non abbiano nulla da invidiare agli autori greci, ai filosofi, a quelli che hanno scritto una parte della storia dell’umanità. Questo è uno dei grossi problemi in Italia, non riconosciamo valore alla musica pop, sembra quasi che ne abbia solo la classica. In realtà conosco musicisti classici che non hanno nessuna passione per la musica che hanno studiato, al contrario invece di altri. Per esempio si dice che Paul Mccartney ancora oggi non sappia leggere uno spartito e non mi pare una cosa che possa diminuire ciò che hanno fatto i Beatles.

Qual è il tuo rapporto con la musica internazionale?

Il mio rapporto è con la musica in generale; i miei ascolti arrivano dall’estero, se mi chiedi del mio rapporto con la musica internazionale al massimo posso dirti degli artisti che mi piacciono, non di come io penso di poter entrare nel mercato internazionale.

Cosa puoi dirci invece del tuo rapporto con il pubblico italiano? Ti abbiamo vista a Sanremo per il duetto con Nada.

Mi sento in una situazione strana; quelli che mi seguono da anni hanno una percezione molto positiva del mio percorso e tendono a vedermi come una persona che è diventata “famosa”; quelli che invece guardano solo la tv e magari mi conoscono solo per una apparizione come quella di Sanremo si chiedono come mai non appaio tanto. Alla fine per me l’importante rimane continuare a fare della buona musica.

Vorrei sapere il tuo legame con l’arte contemporanea e se ci sono artisti che in qualche modo influenzano il tuo lavoro.

E’ una domanda molto bella che non ha, purtroppo, una risposta positiva. Io arrivo da studi artistici, ho fatto scenografia e prima ancora il liceo artistico, ma da un certo punto ho abbandonato la passione per l’arte anche come visitatrice di musei. Cercherò di recuperare, mi piacerebbe molto poter dedicare un album a un artista, legato alle sue immagini o installazioni.

Cosa pensi del momento che sta vivendo la musica indipendente in Italia?

Lo stato attuale è abbastanza tragico perché la discografia è in crisi, come ben sappiamo. Potrebbe essere un momento di rinascita se si riuscisse a trovare velocemente qualcosa di innovativo, magari da parte delle poche etichette indipendenti rimaste o dei musicisti che si danno da fare da soli attraverso Myspace. Prima si trova una nuova via, quasi sicuramente nel digitale, e prima si riuscirà ad uscire da questa impasse. Il problema adesso è che realizzare e pubblicare un disco è molto dispendioso rispetto a quelli che sono i guadagni, anche per le major. Posso portare l‘esempio della Emi, e lì il discorso diventa paradossale se si pensa che ha pubblicato i Beatles e che ha in catalogo i Pink Floyd e altri nomi paurosi, e ci si può chiedere dove abbiano buttato i soldi: hanno sicuramente fatto grossi errori, questo è chiaro. La situazione non è semplice, per gli artisti indipendenti ormai la via è preparare il disco, produrselo da soli, e poi proporlo all’etichetta e usarla come appoggio per la distribuzione e la promozione.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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