In occasione della partecipazione al festival Frequenze Disturbate della storica band bolognese, che con i suoi dischi ha lasciato un profondo solco nella storia della musica indipendente italiana, abbiamo partecipato all’incontro tra Emidio Clementi, Vittoria Burattini, Egle Sommacal e la stampa. Una quarantina di minuti molto interessanti, con riflessioni su passato, presente e futuro del gruppo e dell’intera scena musicale italiana, ma non solo…
[Foto di Francesca Pontiggia – Per il foto set completo del concerto dei Massimo Volume @ Frequenze Disturbate, del 10 Agosto 2008, è necessario cliccare qui. ]
Dopo gli ultimi appuntamenti nel 1997 e nel 2002, vi ritroviamo a Frequenze Disturbate edizione 2008. Quali sensazioni avete per questo ritorno a Urbino?
Em: Abbiamo accettato subito perché ci piace com’è fatto; ci siamo trovati qui già alla prima edizione del festival, tra l’altro proprio in piazza, e abbiamo un ottimo ricordo di quel concerto. Poi io c’ero tornato anche con un paio di reading, in uno scenario davvero molto bello, un chiostro che dava sulle colline marchigiane. Fosse stata un’altra data non so se avremmo accettato così prontamente.
Domanda quasi scontata: nel 2002 i Massimo Volume si sciolgono, poi un mese fa a Torino la reunion per il Traffic Festival. Come e perché è avvenuta?
Em: Perché c’era piaciuta l’offerta che ci aveva fatto il Traffic assieme al Museo del Cinema di Torino; era una doppia data, non consisteva solo nel live dei Massimo Volume, c’era anche una parte in cui noi abbiamo portato del materiale inedito cioè la sonorizzazione de “La caduta della casa Usher” di Epstein. Fosse stato solo il concerto forse avremmo accettato ugualmente dato il prestigio del festival, ma l’idea di poterci mettere in gioco con del materiale nuovo è stato qualcosa in più.
Sensazioni durante il concerto? Com’è andata?
Em: Molto bene; Vittoria si è divertita, io no perché è stata un’emozione enorme, così forte che non ho avuto modo di divertirmi.
Come vi siete ritrovati dopo anni che non vi frequentavate come musicisti e come vi hanno cambiato le esperienze fatte individualmente in questo periodo?
Em: Dico due cose che mi vengono così, a pelle. Una è che mi sembra che comunque abbiamo un suono, faccio fatica a distinguere le parti di chitarra, batteria e basso, ma mi sembra che ci sia un “nostro” suono che mi appartiene anche se in quel momento non sto suonando io; questo lo sentivo prima e continuo a sentirlo adesso. L’altra è che abbiamo affrontato questo ritorno, estemporaneo o meno, con un po’ più di leggerezza: prima la nostra famiglia, la nostra vita erano i Massimo Volume, era molto bello ma anche più impegnativo; adesso invece ci siamo un po’ più “espansi” nel mondo e lo viviamo sì come qualcosa di molto importante ma, ripeto, con più leggerezza.
Vi: La penso allo stesso modo; a livello di autonomia personale, a livello psicologico prima eravamo molto più “impastati” perché eravamo cresciuti insieme o comunque abbiamo passato tantissimi anni della nostra vita insieme; ora abbiamo vissuto delle esperienze personali che ci hanno reso più autonomi. Invece dal punto di vista del musicista l’esperienza coi Franklin Delano mi ha cambiato per quanto riguarda i concerti, ho fatto un tour in America di 40 date in tre mesi, in cui ogni giorno vieni sottoposto a problemi che devi risolvere e che rendono diverso il tuo rapporto col palco.
Eg: Mi accodo a quello che hanno detto loro; in questi anni ognuno ha visto che anche da solo riesce ad andare avanti: potrebbe essere considerato un limite per un gruppo, ma in fondo non lo è, vivi l’esperienza con più relax sapendo che cose che non riesci ad inserire in quel progetto puoi farle in un’altra maniera, evitando così certi tipi di tensione che affiorano nelle dinamiche interne di una band.
Em: per me è da sottolineare anche la presenza di Stefano Pilia, che è il chitarrista che ha suonato con noi a Torino, che probabilmente è il migliore che abbiamo mai avuto.
In questo frullatore che è oggi il mercato della musica contemporanea, come vi trovate a suonare album che hanno un senso compiuto nella loro interezza, mentre in radio e sui talk passano solo singoli usa e getta?
Eg: Innanzitutto bisogna distinguere quella che è la scena indipendente a cui noi, bene o male, siamo sempre appartenuti, che non è fatta di hit, di numerosi passaggi in radio, bensì il più delle volte di opere compiute, dischi, non proprio concept album ma qualcosa comunque da apprezzare nel suo insieme. Per cui su questo tipo di presupposti non ci sentiamo distanti da ciò che facevamo prima, se non che adesso riproponiamo cose che sono di 6, 7, anche 10 anni fa. Di conseguenza non sentiamo questo gap con i prodotti che si sentono in radio anche perché in radio non siamo mai passati così spesso. L’eventuale scommessa per noi sarà in futuro, ce la giocheremo tra di noi.
In “Ravenna”, brano dell’album “Lungo i bordi”, viene affrontato il tema della provincia italiana. Come lo sentite?
Em: Noi veniamo tutti dalla provincia, poi Bologna ci ha raccolto, ci ha viziato, ci ha fatto conoscere, ma il nostro imprinting è molto di provincia. Mi sembra che molta cultura italiana sia stata fatta in provincia, credo abbia dato molto, anche rispetto ad altre province europee, dove magari invece è tutto incentrato sulla capitale; penso alla Francia dove c’è Parigi e tutto il resto è una grande provincia. Oltre a questo la provincia ti dà anche un atteggiamento un po’ più disincantato senza troppo generalizzare rispetto a chi proviene dalla città.
Cosa pensate della scena musicale indipendente italiana di oggi e quali sono le differenze rispetto a quando avete iniziato come Massimo Volume?
Vi: Sicuramente è molto diversa dal punto di vista delle strutture: il mercato discografico è cambiato, non si vendono più dischi, c’è il download come tutti sappiamo; per cui le agenzie anche grosse che c’erano come la Mescal e i Dischi Del Mulo, molto importanti per la nostra generazione, non ci sono più e questo ha fatto sì che si disgregasse un po’ il tessuto. Io non riesco a fare un discorso sulla creatività perché adesso seguo meno la scena però mi sembrano tutti fenomeni più polverizzati rispetto a prima quando invece c’era una vera e propria generazione di musicisti; credo siano i problemi economici e strutturali di tutto il mercato discografico a portare a questa disgregazione della scena.