venerdì, Novembre 22, 2024

Intervista ai Virginiana Miller

[ Foto di Giovanni Canitano ]

I Virginiana Miller sono stati il gruppo che ha chiuso la prima serata di Suoni Sommersi, neonato festival che si svolge nella loro Livorno. Un concerto molto emozionante, un’ora e mezza di excursus tra i classici della band, da “Uri Geller” alla richiestissima “Tutti al mare” con cui hanno salutato il pubblico accorso in buon numero, passando per canzoni che hanno segnato gli ultimi 10 anni della scena indipendente italiana come “Altrove”, “La vita illusa” e “Dispetto”, con in più 2 inediti pronti a finire sul prossimo disco. Dopo la loro esibizione li abbiamo incontrati per un breve ma intenso botta e risposta con Simone Lenzi.

Benvenuti su Indie-eye e a Suoni Sommersi. Quello di questa sera è uno dei pochi concerti per voi quest’anno; perché avete accettato la proposta di Suoni Sommersi per questa data che è più o meno unica?
Noi siamo stati fermi per un po’ per scrivere i pezzi nuovi; tra 10 giorni cominciamo a registrare il disco nuovo. Pensavamo che fare un concerto dal vivo potesse farci comodo prima della registrazione, perché alla fine quando sei in studio o in sala prove perdi un po’ di vitalità e di “animalità”, che puoi recuperare con un live e riversare anche nel disco.

A inizio anno avete fatto 2 date speciali con i Perturbazione, di cui ho letto diverse recensioni entusiaste in rete. Cosa potete raccontare di queste date? Potranno ripetersi in futuro?
Forse sì, perché ci siamo molto divertiti e credo si siano divertiti anche i Perturbazione, con cui recentemente mi è capitato di partecipare anche a “Le città viste dal basso”. In realtà siamo amici, quindi è stata una buona occasione per stare insieme, è stato divertente non solo fare i concerti sul palco, ma anche il prima e il dopo. Anche per questo credo proprio che lo rifaremo.

Siete ormai dei veterani della scena indipendente italiana. Quali differenze notate tra la situazione quando avete iniziato e la scena attuale?
Secondo me c’è una consapevolezza da parte dei musicisti, di chi suona, sicuramente maggiore, sia rispetto a quelle che sono le vere aspettative, nel senso che nessuno si fa più quei “trip” che ci si faceva 15-20 anni fa e ora si sa cosa si può chiedere effettivamente a questo mercato, sia artistica, credo che si suoni meglio; infatti a me ora il rock italiano comincia a piacere.

Qualche giorno fa è apparso in rete un tuo articolo in cui parlavi proprio del rock italiano e affermavi che la storia del rock è finita, con un discorso legato al concetto di “contemporaneità assoluta” che c’è al giorno d’oggi. Puoi spiegarci meglio questo tuo pensiero?
Lo vediamo dai contatti che abbiamo con persone che hanno 17, 18, 20 anni e che hanno una cultura musicale che va dagli Smiths ai Joy Division ai Radiohead in una sorta di vera e propria contemporaneità; è come se non ci fosse più passato. L’esempio che portavo nell’articolo è questo: si ascoltano i Nine Inch Nails però la vera grande novità è Johnny Cash che rifà la loro “Hurt”. Questo lo trovo stimolante, perché da dove viene il nuovo non puoi saperlo ora. Secondo me questo è un valore, forse è sempre stato così, però prima erano un po’ tutti più legati al concetto di “scena”, mentre ora c’è sicuramente più sostanza.

Molte vostre canzoni hanno un’anima molto cinematografica; penso per esempio a “L’uomo di paglia”, che evoca nella mente di chi ascolta delle immagini molto vivide. Siete mai stati ispirati dal mondo del cinema? Da qualche film?
Sicuramente sì; essendo quello che scrive i testi in realtà posso dire che ho sempre avuto una specie di invidia o di complesso quasi di inferiorità verso chi sa fare fotografie o sa disegnare; la mia mente invece è così, se chiudo gli occhi e penso “cane”, in realtà penso alla parola “cane”, vedo solo la parola. Per cui quello che tento di fare scrivendo è proprio questo, cercare di costruire delle immagini, non avendo modo di farlo altrimenti.

Per un gran numero di appassionati siete un vero e proprio gruppo di culto; vi manca il fatto di non aver raggiunto un successo più ampio?
Devo dirti la verità: noi non lavoriamo per il successo, lavoriamo per la fama, che è sicuramente una cosa diversa. Noi la nostra piccola fama ce l’abbiamo e ne siamo molto orgogliosi.

In alcuni vostri concerti in passato avete eseguito anche una cover abbastanza inaspettata dei Nirvana, “Come As You Are”, mentre sarebbe più facile aspettarsi cose per esempio di Smiths e Cure, che tra l’altro avete fatto. Anche il grunge ed altri generi hanno avuto una influenza su di voi?
Certamente. In realtà siamo influenzati da tutto, da Rita Pavone ai Bauhaus fino anche ai Sepultura.

Avete in mente, per il futuro, delle collaborazioni con altri artisti, oltre a quelle che avete già fatto?
Le abbiamo in mente eccome, però aspettiamo di concretizzarle prima di parlarne.

Parlavi del disco in arrivo; puoi darci delle anticipazioni? Testi e suoni che direzioni prenderanno?
Di sicuro sarà il nostro più bel disco. Lo so, si dice sempre, ma lo credo davvero, penso che abbiamo trovato freschezza e si sentirà. Forse la differenza vera rispetto ai dischi precedenti, che avevano a che fare col passato o comunque con la dimensione della memoria, mentre questo è un disco che si guarda intorno, molto sul presente, sul qui e ora.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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