Gli Io?Drama sono ormai da qualche anno uno dei nomi più seguiti nella scena milanese e non solo. Con all’attivo due dischi e una lunga serie di concerti, si sono guadagnati i favori di un pubblico sempre più folto, fino ad arrivare a palchi importanti, come quello dell’Alcatraz, dove ben 1200 persone sono accorse per vederli in azione lo scorso anno. Abbiamo incontrato la band in occasione del loro concerto del 4 settembre 2011 alla Festa Democratica di Osnago, per capire la loro evoluzione, da dove arrivano e dove andranno.
Iniziamo raccontando i primi anni della band. Come è nata? Quali sono state le prime esperienze?
Venivamo tutti da altre esperienze, fatte in altri gruppi, suonavamo tutti nel milanese, ognuno col suo progetto. A un certo punto ci siamo incontrati, all’inizio cantante e chitarrista, poi Vito, il violinista, e a seguire gli altri, man mano che ci accorgevamo di avere degli intenti chiari, la voglia di fare qualcosa. Così sono nati gli Io?Drama.
Nel 2007 è uscito il vostro primo disco, Nient’altro che madrigali. È uscito per la Tube, un’etichetta che solitamente cura gruppi punk, come ad esempio Pornoriviste e Gerson. Cosa c’entravate con la Tube? E come vi siete trovati con un’etichetta punk?
Ce lo chiedevamo anche noi, in realtà. Poi conoscendo le persone della Tube con cui abbiamo lavorato, che erano Dario e Giuseppe, abbiamo capito che Tube fondamentalmente faceva punk perché aveva quel tipo di approccio, ma anche perché aveva capito, quando aveva iniziato, che quello che andava era il punk. Quando invece hanno visto noi credo abbiano pensato che il punk fosse già ben avviato e volevano lanciarsi su qualcos’altro, scegliendo noi che eravamo questo rock alternativo. Hanno sentito il disco, erano entusiasti e l’hanno fatto uscire. Noi, proprio perché non venivamo dal mondo del punk, non ci rendevamo conto dell’etichetta con cui stavamo lavorando, ma in pochi mesi abbiamo capito quello che era. Tuttora se abbiamo delle decisioni importanti da prendere chiamiamo ancora loro, quindi la risposta a “come vi siete trovati?” è “ancora adesso noi chiediamo consigli a loro”. Sono fantastici.
Il singolo di quel disco era Il testamento di un pagliaccio. Pensate ci siano parallelismi tra la vita di un clown e quella di un musicista?
Credo di sì. Se sei su un palco un po’ pagliaccio sei, c’è poco da fare. Su un palco ti apri, mostri la tua parte vera, ma allo stesso tempo stai tentando di intrattenere, anche se stai parlando di problemi tuoi. Quando abbiamo fatto Il testamento di un pagliaccio non avevamo in testa di fare chissà quale cosa nuova, è un tema ricorrente che si ritrova nella storia, da I Pagliacci di Leoncavallo fino a Vinicio Capossela. L’idea del pagliaccio è un topos. Noi l’abbiamo ripreso, non parlando di essere pagliacci su un palco, ma di esserlo tutti i giorni nella vita.
Nel 2010 invece è stata la volta di Da consumarsi entro la fine, che invece è uscito per Via Audio, piccola etichetta brianzola. Come mai questo passaggio?
Via Audio è nata quando gli Io?Drama esistevano già. Però conoscevamo i ragazzi dell’etichetta, in particolare io (Fabrizio, ndr) ero un accanito sostenitore dei Grenouille, che poi sono diventati nostri amici. Da loro abbiamo conosciuto Via Audio, che era la loro etichetta. È andata a ritroso, dunque. Comunque, Via Audio è stata l’etichetta che ha mostrato il più vivo interesse appassionato nei nostri confronti. Ci andava di provare, di vedere come può essere fare gli indipendenti con un gruppo di amici. Ci abbiamo provato e siamo ancora qua.
C’è stata una certa evoluzione dei suoni tra il primo e il secondo disco. La produzione di Paolo Mauri quanto ha influito su questo?
Poco, onestamente. Dato che il primo disco è del 2007 ed il secondo è del 2010, in quei tre anni sono successe tante cose, siamo anche cresciuti nella nostra conoscenza reciproca e più suoni insieme più le cose prendono direzioni diverse rispetto a quella iniziale. Conseguentemente, arrivati da Paolo Mauri, avevamo già il 90% di quello che si sente in Da consumarsi entro la fine. Devo dire che quel 10% in più è stato importante per avere quel qualcosa che cercavamo ma non sapevamo come andare a prendere, in quello ci ha aiutato. Paolo ha influito perché per scelta sua, come produttore artistico, ha un suo codice, e il suo codice prevede di non indirizzare la band verso un suono, ma di esaltare ed amalgamare al meglio ciò che la band ha già. Con noi ha dichiarato questo da subito, quindi se chiedi quanto ha influito sul suono, probabilmente lo ha fatto poco, perché ha preso ciò che c’era già. Lui dice che quando finirà la discografia non avrà più un lavoro, mentre noi musicisti ce l’avremo ancora, perché dunque cambiare ciò che fanno gli altri? Sicuramente dunque ha più influito su di noi come persone, ci ha cambiato a livello di come ci approcciamo a fare un disco.