Pare che in Emilia-Romagna il cantautorato italiano attecchisca più che altrove, gli Ismael ne sono l’ ennesimo esempio (Reggio Emilia). Esatto poi, perché si pongono a una precisa equidistanza tra la ruvidezza e l’ essenzialità di Guccini o le sperimentazioni acusmatiche di Massimo Volume e di seguito Offlaga Disco Pax e le declinazioni più pop, anche se un po’ (molto alla fine) rock del Liga e del Blasco, o del più recente Cremonini (se proprio cantautore lo si vuol chiamare).
La scuola mi sembra di capire sia questa, la strada da percorrere, quella spetta solo agli Ismael. Nel senso che si presentano in questo album omonimo alcune perplessità di fondo, che sono però anche uno spunto di riflessione interessante. I testi assumono infatti grande preponderanza, ma in realtà, è la musica l’ aspetto più interessante del disco. Nulla infatti nel parlato/cantato, giustifica il risalto di cui gode: non ci sono derive onirico-allucinate alla Luci della Centrale Elettrica, paradigmi sociopolitici come nei pamphlet di Collini, anatemi da bar alla Ligabue, ci sono solo parole. Ben disposte, comuni, accessibili, questo si, forse trasversali, ma pur sempre parole, senza far emergere il concetto, senza avere un messaggio forte da esprimere. Da dire invece sulla musica c’ è eccome. La piattaforma molto folk dei pezzi, è in realtà violentata da continue invasioni di new wave, forse non innocente ad ascolti di Ferretti & Co. (vedi Proclama, forse il pezzo più interessante), squarci di Tex-Mex (la numero 6, La Festa), i Pink Floyd di Wish you were Here (traccia 9, Fuoco, Cenere Ecc.) e molto altro ancora, pur conservando uno stile spontaneo e molto coerente, grazie anche a un mixaggio sapiente e ben calibrato e la voce di Sandro Campani (tra l’ altro autore dell’ intero album) che appare estremamente a suo agio. Un costrutto onesto, e in fondo valido, se pur non ineccepibile.
Gli Ismael su myspace