Cos’ è che differenzia del buon pop da una mera operazione commerciale? Probabilmente andrebbe chiesto alla Morr Music che dopo la svolta nordica (lali puna e mùm) ed elettrochic (notwist, b.fleischmann) se ne esce con una serie di pezzi da novanta del settore tra i quali per esempio Sing Fang Bous (ennesimo miracolo islandese) e questi, dolcissimi e bravissimi It’ s a Musical.
The Music Makes me Sick, il loro album d’ esordio, è un perfetto esempio di come si possa fare canzoni ad effetto facili nel senso geniale del termine (ovvero le cose che hai a portata di mano e non trovi mai, ovvero quelle alla fine più difficili da trovare) senza abbandonare una certa propensione alla sperimentazione. In una parola: gusto. Innanzi tutto si parte da una line up, certo non audacissima, ma leggermente atipica. Sono in due, Ellinor Blixt (svedesina tutto pepe) alle tastiere e Robert Kretzschnar (berlinese doc) alla batteria e ai vibrafoni. Spesso si avvalgono della presenza del bassista Marcel Schaffner. “We don’ t play guitars” scrivono come commento di stato sul loro myspace, beh, è vero. La qualità con la quale scrivono i loro pezzi non è comune, va detto, pochi sono i riferimenti precisi, si ispirano per diretta ammissione a Burt Bacharach da cui desumono in un certo senso il nome, purché si intenda la rilettura di tipo squisitamente indiepop.
Venendo ai pezzi, che sono 12 e son tutti molto belli, spiccano particolarmente il primo, Pain Song, una tenera (ma trionfale) canzoncina nella quale, dopo un inizio affidato ad una precisissima unisonicità tra organetto e le due voci dei “protagonisti del musical”, esplode un ritornello di trombe e tamburini alla “all you need is love”. Decisamente non male anche la seconda, Ball of Joy, più propriamente indie (c’ è anche il tuz taz), ma avvolta in una psichedelia per bambini, oserei dire, cadenzata da ritmiche secche e spezzate dove Kretzschmann dimostra di essere un finissimo batterista.
Due parole da dire anche su Dudu, traccia numero 7, una carrellata di derivazioni, diversissime eppure fissate da un approccio deliziosamente pop, si sente qualche ascolto di Henry Macini, un ponte che sembra “99 red balloons” di Nena (tedesca anche lei non a caso) che esplode in atmosfere quasi new jazz.
E per finire, l’ ultima traccia, la canzone della buonanotte e aggiungerei, sogni d’ oro. Take off your T-shirt è una splendida ballata di walzer, intimissima e di una dolcezza struggente su cui poco altro c’ è da aggiungere se non invitarne l’ ascolto.