martedì, Novembre 5, 2024

Joan As Police Woman – The Deep Field (Pias, 2011)

Il “campo profondo” è l’immagine di una limitata regione della costellazione dell’Orsa Maggiore, che ha osservato e immortalato il telescopio spaziale Hubble. L’esplosiva Joan Wasser si è lasciata ipnotizzare da questa idea di una piccola porzione dello spazio tempestata di nuove galassie e ha raccolto nel suo terzo disco il suo personale campo d’emozioni, ridefinendo le coordinate del suo universo rock dalle inconfondibili venature blues e soul in dieci nuove tracce, prodotte dal fidato Bryce Gogging, con lei dal folgorante debutto del 2006 Real Life. Avevamo lasciato Joan nel 2009 con una compilation di cover dall’irriverente copertina, in cui tra il serio e il faceto dava un saggio del suo eclettismo rifacendo Jimi Hendrix e Public Enemy, l’Iggy Pop berlinese e Britney Spears, per citarne solo alcuni. L’uscita ringalluzziva chi in To Survive (2008) aveva sentito la mancanza del suo lato più adrenalinico e si era perso in quelle ballad notturne e malinconiche che hanno rischiato a tratti di farne un disco di transizione, a scapito dell’innegabile intensità di molti pezzi. Ma la massima dose di adrenalina è sprigionata da Joan da sempre sul palco, con la sua presenza nerboruta e l’instancabile altalenare tra tastiere e chitarre, che rendono la dimensione dal vivo dei suoi concerti irresistibile e per certi versi più tagliente di quella in studio. I brani di questo nuovo The Deep Field hanno preso vita proprio durante il tour di supporto all’ultimo disco e molti di essi sono stati orgogliosamente proposti ai concerti, dove hanno avuto modo di plasmarsi ed affinarsi una data dopo l’altra. Estrapolata da una brevissima intro tribale, trasale la frase “I want you to fall in love with me” e Nervous è subito classic Joan: impossibile frenare testa e piedi, il ritmo funky orecchiabile si lascia attraversare e le chitarre dell’ultimo minuto non fanno che alzare la posta in gioco. The Magic, il primo singolo, per cui è stato girato un video dalla stramba ispirazione kitsch, è un piccolo gioiello di orecchiabilità: Joan stigmatizza le psicosi e le preoccupazioni per il futuro che attanagliano l’uomo medio con la fluidità di un’ottima canzone passata alla radio. Flash rimpolpa lo scenario un po’ statico di The Action Man con sette minuti di loop sostenuto, ombroso. Come nelle prime rese dal vivo, Flash restringe la dimensione temporale, ipnotizza l’ascoltatore con i suoi incastri perfetti di cori vicini e lontani, batteria sommessa, fiati e tastiere appena accennati. Human Condition “makes me melt inside”: il pezzo è tutto imperniato sulla voce felpata di Joan, qui accompagnata da una strumentazione pizzicata, essenziale. Il falsetto di Chemmie e certi ammiccamenti sospirati in sottofondo evocano Prince e puntano a un divertimento immediato, forse poco estroso, ma vengono risollevati da un finale di vivace blues rock. Forever And A Year riporta ai rallentamenti di To Survive, ma con qualche grado in meno di pathos, mentre in chiusura I Was Everyone intesse un crescendo rock che riassume il disco fortificandone il piglio energico e luminoso. Qualche pezzo più marcato e imprevedibile avrebbe forse giovato a questo disco che da un lato regala un prezioso saggio dello stile miscellaneo di Joan, come lei stessa sostiene, dall’altro si lascia alle spalle una vena più malinconica, per certi versi drammatica, che in passato ha dato prova di straordinaria bellezza. Nel complesso il disco convince e riesce a stabilire una buona intesa con l’ascoltatore, con la sincerità e l’irresistibile appeal cui Joan ci ha abituati.

Redazione IE
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