I Jocelyn Pulsar propongono nel loro quarto disco “Penso a Sonia ma suono per la gloria” un indie pop contraddistinto da arrangiamenti minimali, dalle parti di Dente, con melodie di presa diretta, che potrebbero ricordare il primo Bersani (anche per l’accento), e testi che puntano molto sull’ironia, a differenza di molti colleghi di genere, solitamente più introspettivi. Tra i temi affrontati spiccano in particolare la nostalgia per gli anni ’80 (e inizio ’90), che pare essere sempre più all’ordine del giorno per i trentenni dell’era Facebook, e uno sguardo divertito sul mondo della musica indipendente, oltre naturalmente alle piccole cose della vita quotidiana. I trenta minuti dell’album iniziano coi toni morbidi del piano di “Ho la tosse”, il brano più romantico e malinconico, seguiti da quelli caustici su un indefinito ma non improbabile scambio di messaggi tra un giornalista e un musicista che gli chiede “L’ultimo piacere e poi stop”. Seguono poi i due tuffi nel passato e nelle melodie zuccherose rappresentati da “Garella”, dedicata all’ex portiere del Napoli e ad altri personaggi del calcio di quel periodo, con attenzione in particolare ai numeri 12 destinati sempre ad attendere la loro occasione, e da “Si pulisce da solo”, che punta invece sulla presenza massiccia degli spot televisivi di una ventina di anni fa nell’immaginario collettivo. Si torna a parlare di outsider, su un dolce tappeto di tastiera, con “Il campione di calcetto”, prima dell’allegro intermezzo bambinesco rappresentato da “Come siamo diversi”. Un po’ più di elettricità e qualche riflessione più ampia in “L’amore al tempo del telefono cellulare”, prima dei due lenti finali, cioè “Valentina è un’artista pop” e “La ballata di Manute Bol”, entrambi frutto di buona ispirazione e senso melodico.
La sensazione finale è quella di trovarsi davanti a un disco onesto, in grado di regalare qualche sorriso e dei momenti di spensieratezza, motivi per cui suonare più validi della semplice gloria.