Il nuovo Julie Doiron, pubblicato per Jagjaguwar e distribuito in Italia da Widerecords, è un lavoro la cui leggerezza ferisce nel momento in cui l’occhio del visionario si libera di tutti gli abbellimenti considerati necessari allo sviluppo di un racconto. Prendete la title track in apertura, e Swan pond la terza traccia del cd; la tensione elettrica è sottopelle e mentre si rifiuta di esplorare, coinvolge in una sfera satura le voci di Julie, tese a superare quel limite asettico di qualsiasi cristallo pop, But to hold him and sing / may be just what i need / to hold him and sing /may be just what i need E’ sull’ultimo inciso che Julie sfrutta la meraviglia della sovrimpressione, come un gioco semplice, fuori tempo e luogo, trascinando l’ultimo minuto del brano in un disequilibrio vertiginoso che per strane dinamiche attrattive si riverbera nella coda di Yer Kids, increspatura di chitarre di forza e semplicità, capace di far impallidire i giochi texturali dell’ultima Tara Jane O’neil, distratta dal tessuto e poco attenta alle derive feconde dell’ordito. Questa oscillazione semplificata e sensoriale trova spartiacque in quello che potrebbe essere l’anti-inno di Woke Myself up, Nomore/ Nomore, capolavoro di pop residuale, conciso e senza soluzione, cesura che ritrova la stessa sottrazione nella traccia successiva, don’t wanna be / liked by you dove lo scioglimento nel but i might play music for you conserva la flagranza privata, intima e familistica di una straordinaria aurea mediocritas che si fa beffe di tutta l’eiaculazione punk del primo minuto e cinquanta. Leggevo da qualche parte di Woke Myself up come l’arrancare disperato di una ri-scrittura noisepop (ma che cazzo vuol dire?!) marcita nel passato, quando mi pare che il disfarsi della scrittura sia invece la luce assolutamente sorprendente di questa raccolta di intime illusioni.
I open my eyes in Horror
to see what i’ve done
it was the wrong guy
it was the wrong guy
stranillusioni.