Dopo la performance dei Mercury Rev all’Estragon di Bologna, nella quale hanno eseguito per intero l’album cult “Deserter’s Song” in un live intenso ma non memorabile, incontriamo Luca Giovanardi, frontman degli emiliani Julie’s Haircut, i quali hanno degnamente aperto le danze. Nel backstage dell’Estragon la conversazione verte sull’approccio alla psichedelia di entrambe le band protagoniste della serata e sul nuovo lavoro dei Julie’s, un vinile, in copie limitate, contenente due rivisitazioni di musiche di Alejandro Jodorowsky e Nino Rota, composte per i film “La montagna sacra” ed “Il Casanova”. Le Foto sono gentilmente concesse da Carmine De Fazio
Innanzi tutto, com’è andato il concerto?
Molto bene, devo dire. È stato ovviamente un grande onore per noi aprire ad un gruppo che per tutti noi dei Julie’s costituisce un ascolto fondamentale, una grande fonte di isprirazione, li ascoltavamo sin da quando eravamo ragazzini e ne eravamo grandi fan: loro, Flaming Lips, Spacemen 3.
Mi ha incuriosito quest’accoppiamento fra voi e i Mercury Rev, poiché unisce due approcci allo stesso tempo antitetici e simili alla materia “psichedelia”. Come la pensi?
Loro hanno iniziato con una forma di psichedelia molto più spinta, a volte improvvisativa e anche dissonante, per poi spingersi in forme più legate al cantautorato, alla forma canzone, cose che poi abbiamo fatto anche noi. Noi abbiamo deciso di fare uno spettacolo che rappresentasse quello che i Julie’s sono adesso, non un remember, ci sembrava giusto proporre al pubblico una forma diversa della stessa idea.
La visionarietà aperta della musica dei Mercury Rev si giustappone, comunque, ad una vostra visionarietà molto più chiusa ed insinuante, se così si può dire. Quasi come se si contrapponessero due colonne sonore, la prima, quella di un cartoon disneyano dei primi anni ’40 e, la seconda, quella di un “2001 – Odissea nello spazio” ai giorni d’oggi.
Esatto, sono due forme estetiche della psichedelia. Effettivamente loro hanno questa scrittura molto ariosa e aperta, laddove loro possono dirsi “disneyani”, noi possiamo benissimo definirci “kubrickiani” e “carpenteriani”. Noi lavoriamo molto più sull’oscurità che non sui colori e a mio parere è molto interessante un concerto del genere, che fornisce allo spettatore uno “spettro” così ampio.
Come avviene nei Julie’s Haircut il trattamento della materia armonica, partendo da pochi suoni basi ai quali ne avviluppate altri, quasi a spirale?
È una cosa che in questo momento ci piace molto e ci viene molto naturale. È comunque accaduto che abbiamo scritto cose che si caratterizzavano per cambi armonici piuttosto importanti. Adesso ci interessa molto di più l’aspetto ipnotico della musica, non a caso stasera abbiamo eseguito solo tre pezzi. Quando arrivi al sesto minuto di un pezzo, ti accorgi che il cambio armonico non ci sarà. In alcuni casi è una sorta di musica modale applicata al rock, che si caratterizza per girare intorno anche ad un’unica nota, costruendovi armonie sopra anche al di là della tonalità. Per noi, che tecnicamente non siamo dei mostri, è anche più facile, poiché ci permette di puntare maggiormente sull’aspetto emotivo della musica che proponiamo.
La avverti comunque come un’autoimposizione verso la riduzione del materiale sonoro utilizzato?
A livello conscio io stesso preferisco composizioni più spoglie. E devo dire che è arrivato in realtà tutto molto naturalmente e, paradossalmente, con l’allargamento di formazione a partire da After Dark, My Sweet in poi. (continua a pagina 2…)