Fare kraut-rock in Italia, oggi. Come e perché?
Capisco quello che vuoi dire ma tengo a precisare che noi non ci sentiamo un gruppo che suona kraut-rock, di per sé un non-genere, perché il termine stesso veniva usato per identificare, in realtà, una moltitudine di gruppi che suonavano generi molto differenti. Alla fine, quel termine giunse ad indicare proprio il sound generale di quei gruppi appartenenti a quel determinato periodo storico. Noi in realtà abbiamo inglobato un calderone di suoni che si è sviluppato in quindici anni. Spesso l’arpeggio ipnotico à la Steve Reich si mischia al ritmo motorik, che utilizziamo volentieri, molto fluido e martellante.
L’idea del flusso continuo mi affascina molto, ossia il concepire i pezzi e tutto il live in questo modo, che vi allontana forse definitivamente dalla forma canzone.
Ed effettivamente aiuta anche: ci sono dei punti fermi all’interno del pezzo attorno ai quali ogni membro del gruppo è libero di muoversi e di trovare il proprio spazio. Così facendo, come ho detto prima, aumenta anche l’intensità emotiva.
Dunque è anche cambiato l’approccio al pubblico?
Mah, non saprei risponderti, da parte mia non noto grande differenza. Addirittura credo che parte del pubblico ci consideri un gruppo anche troppo freddo, magari perché siamo spesso totalmente assorbiti da quello che stiamo suonando.
Sui riferimenti cinematografici, mi è parso che ultimamente nella musica pop questi siano diventati una componente molto forte.
Forse è vero, ma non l’ho notato in maniera particolare. Noi personalmente siamo tutti molto appassionati di cinema, ma non so quanto influisca sulla nostra musica. Certo che la nostra nuova pubblicazione di cinematografico ha parecchio. Uscirà a giugno un EP in edizione limitata in vinile contenente due rifacimenti di altrettanti temi di musica da film, l’uno de La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky e l’altro tratto da Il Casanova di Federico Fellini di Nino Rota.
Da cosa nasce la scelta di queste composizioni?
Entrambe le scelte provengono dalla testa di Nicola, ancher se sono film che appassionano tutti noi da molto tempo. La montagna sacra, il cui tema suoniamo dal vivo già da un po’ di tempo, è un film che ci ha sempre affascinato. Nicola è rimasto molto colpito da questo mantra per percussioni, voci e violino indiano, tutto all’unisono. Nella nostra versione quest’unisono ipnotico si evolve anche maggiormente rispetto alla versione originale (si aggiungono, infatti, piano e chitarra elettrica, ndr). Noi l’abbiamo registrata e poi, nel mixaggio, rallentata, una tecnica che, utilizzata in analogico, a me piace moltissimo. Poi volevamo uscire in modo così snello, in sole 500 copie in vinile anche per ridare “unicità” alla singola pubblicazione e per farlo diventare un oggetto quasi da collezione. La colonna sonora di Rota è, invece, interessantissima sotto il profilo armonico, con una bellissima commistione di strumenti classici, come la glassa armonica e la celesta, con altri più moderni. Noi l’abbiamo resa utilizzando esclusivamente sintetizzatori, a parte basso e batteria. Un trattamento quasi à la Wendy Carlos.
Il filo conduttore di queste due scelte è costituito dunque dalla grande potenza visionaria dei film che queste musiche accompagnano?
Direi proprio di sì, ci interessava molto quest’aspetto. Abbiamo cercato di fagocitarli e rifarli alla nostra maniera. Per la musica di Rota il problema è stato diverso, perché lì si ha a che fare con un Compositore con la C maiuscola e quindi abbiamo eseguito la partitura sostanzialmente alla lettera, è stata una vera e propria reinterpretazione, nella quale ci siamo poi sbizzarriti nella scelta dei suoni.
È un’operazione simile a quella che ha fatto Gus Van Sant con Psycho di Hitchcock, a tuo parere?
È molto interessante questo parallelismo, è stato davvero un tentativo di modernizzare nel linguaggio una partitura eseguita fedelmente.
Noi attendiamo il risultato. Buona visione.