Non vogliamo dire sia per la presenza di Kramer a rifar l’orlo, ma il debutto discografico dei Pistoiesi Ka Mate Ka ora in un certo senso risente positivamente di quello spirito lurido e arrovellato che perforava la psichedelia visionaria dei Bongwater, un terzo occhio che li salva e li tira completamente fuori dal ricettacolo delle numerose band Italiche stregate dal suono Creation. Thick as the summer stars è un cupissimo maelstrom di suoni trainato da una lentezza apparentemente monolitica e impermeabile, un oggetto nero che riserva molte sorprese e sfumature una volta stabilito un contatto più approfondito. I Ka Mate Ka ora rendono accessibili ovunque le loro influenze, ma quello che ci sembra la forza maggiore della band toscana è la capacità di contaminare territori generalmente intoccabili e altrove riprodotti secondo un formulario logoro. Più che ad un impatto saturo e caotico, Thick as the summer stars sembra riferirsi ad un muro di drones ottenuti con gli elementi di una strumentazione tradizionale, i Bedhead più disperati deprivati delle loro radici, la lezione più ambient di Mark Eitzel senza la tradizione, la forza incendiaria dei My Bloody Valentine catturata poco dopo l’estinzione delle fiamme, il tempo inesorabile e cronometrico dei Sad Lovers And Giants, contribuiscono ad innescare un affascinante viaggio temporale, una strana visione sul tempo dedicata alle intuizioni di William Blake e raccontata come in uno script di P. J. Hammond.