Dall’Olanda arrivano i Labasheeda, capitanati dalla riot-girl Saskia van der Giessen, con il nuovo Castfat Shadows, terzo capitolo su lunga distanza della loro discografia dopo l’autoprodotto Charity Box del 2006 e il successivo The Twilight State del 2010.
Il disco va a ripescare i bollori noise, grunge e post-punk che già caratterizzarono varie formazioni negli anni Ottanta e Novanta, a volte stemperandoli in ballate che puntano ad avere una certa aura a cavallo tra fruibilità pop e maledettismo rock, a volte accelerando e puntando sull’aggressività nuda e cruda.
È proprio in questi ultimi brani che i Labasheeda sembrano poter dare il meglio di loro stessi; infatti, pur non creando nulla di particolarmente innovativo (i Sonic Youth sono sempre dietro l’angolo, assieme a band come le Sleater-Kinney), i tre olandesi riescono comunque a trasmettere una certa carica, con un suono potente e spigoloso il giusto, come nella traccia di apertura, che dà anche il titolo al disco, nel grunge scarnificato di Cars o nell’assalto riot di On Tippy Toes. Inoltre, qui e là emerge un uso interessante e peculiare del violino di Saskia, soprattutto in Double Exposure, che spicca al centro della tracklist.
Quando invece i ritmi calano rimane solo una chitarra distorta che descrive scampoli di melodia e la voce di Saskia che cerca di farsi largo senza però graffiare, rincorrendo esempi difficile da raggiungere, siano essi Kim Gordon, Kathleen Hanna o Corin Tucker. In nessun caso infatti la band (e la cantante) riesce a creare quel pathos che potrebbe valorizzare brani del genere, che rimangono così dei semplici esercizi di stile che possono solo aspirare ad avere la forza che aveva per esempio, per non fare ovvie citazioni Sonic Youth, R.I.P. delle Bikini Kill (confrontabile in questo caso con Light Blind Dark Intentions o Withdrawn).