Con poco meno di due mesi di anticipo dall’uscita dell’ultimo, conclusivo sforzo dei suoi Stereolab, e abbandonato l’arioso side-project dream-pop Monade, per la prima volta in quasi vent’anni di carriera Laetitia Sadier rinnova il legame con l’etichetta Drag City pubblicando un disco a suo nome. Ha forse poco senso decifrare questo lavoro rimanendo ancorati a ciò che sono stati gli Stereolab dai tempi d’oro fino all’indulgenza un po’ ridondante degli ultimi dischi. La tentazione è forte, ma The Trip, con i suoi 35 minuti scarsi di ipnotiche oscillazioni sonore, poco si presta a una lettura “postuma” per palati revisionisti. Dietro a ogni primo disco solista che si rispetti c’è il latente desiderio di sviluppare, dar corpo a sfaccettature lasciate per lo più inespresse nel tempo, e un’aspirazione al nuovo, talvolta anche solo germinale. È forse il caso di questo disco che profuma d’occasione, per realizzare il quale la carismatica musicista francese si è avvalsa della produzione di Emmanuel Mario (già con i Monade dell’ultimo Monstre Cosmic) e il cantautore Richard Swift, all’attivo per Secretly Canadian con album di sapiente chamber pop. Le dodici tracce di The Trip (di cui tre interludi di meno di trenta secondi) attingono a un bagaglio sonoro prevedibile, tra lounge pop, venature kraute e rêverie intellettualistica, il tutto subordinato alla performance vocale cantilenante, rarefatta di Laetitia, intenta a costruire eleganti ballate autunnali dal sapore intimistico. Apre le danze One Million Year Trip, esplicita riflessione sul suicidio della sorella Noelle, cui è dedicato l’intero disco. “She went on a million-year trip and left everything behind– her skin, her hair / She has a long way to travel, so I will open my heart, and let the pain run along as there is no point in holding on”, canta Laetitia inseguendo il ticchettio metallico delle percussioni fino al rallentamento catartico dell’ultimo minuto. Il mood trasognato del disco, condensato nella languida Fluid Sand e nel piglio jazzy di Natural Child, fuoriesce dal torpore di un sound forse poco originale grazie a un incremento delle intuizioni ritmiche; oltre alla magmatica Ceci est le coeur lo confermano le due cover Un soir, un chien, del colorito gruppo francese Les Rita Mitsouko, trasformata in un godibile gioco di sintetizzatori e citazionismi disco, e By The Sea, “rubata” al psych-folk fine anni Sessanta delle sorelle americane Wendy & Bonnie, resa da Sadier come una corsa concitata tra cori in bilico fra il sofisticato e il retrò. La intuitiva resa di Summertime e la notturna Statues Can Bend fanno perno su esili arrangiamenti di tastiere per creare un vuoto attorno alla voce di Laetitia, riportando alla mente certi episodi della Jane Birkin ispirata di Fictions. The Trip non gioca a nervi scoperti, ma riesce nella sua brevità a tingersi di interessanti spunti esistenzialistici. Nel complesso il quadro nebbioso dipinto da Sadier lascia l’impressione di un abbozzo malinconico, un primo capitolo di una linea che se per ora forse non riesce a entusiasmare, non fatica a guadagnarsi maggiori aspettative per il futuro prossimo.